Renato Carosone, anni 60

CANTANAPOLI, DA MIGNONETTE A DANIELE

La musica e la canzone sono state da sempre una parte importante della cultura partenopea. A Napoli, nel novecento, si registrò una grande vivacità nel panorama musicale. A inizio secolo ci fu il successo, importato dalla Francia, del Café Chantant o, in italiano, del Caffè Concerto.

Café Chantant

Lo spettacolo del Café Chantant ebbe una grande popolarità nella città partenopea. Già a fine ottocento era stato inaugurato il Salone Margherita all’interno della Galleria Umberto I. Era situato al piano inferiore della galleria, in corrispondenza della crociera centrale. Aveva una forma circolare ed era in stile liberty. Il Salone Margherita fu la sede d’elezione dello spettacolo di origine parigina. In seguito numerosi altri locali nacquero o si adattarono a presentare spettacoli di Café Chantant. Il Gambrinus, l’Eldorado, il Partenope presentavano regolarmente spettacoli alla moda francese. Gli artisti e le artiste protagonisti del Café Chantant, in gran parte “napoletanissimi”, si presentavano con nomi d’arte francesi. La più famosa di queste cantanti fu Gilda Mignonette.

Gilda Mignonette

Gilda Mignonette, che in realtà si chiamava Griselda Andreatini, era nata nel quartiere della Duchesca nel 1886, figlia di un professore e di una nobile decaduta. Iniziò la sua carriera artistica nel Cafè Chantant del teatro Umberto di Napoli, come cantante e ballerina.

Dopo qualche anno che si esibiva nei caffè concerto fu notata dal maestro Ciaramella che ne intuì le sue capacità canore.

Dopo una breve parentesi nella quale recitò nei lavori di Raffaele Viviani, fu scritturata per una tournée negli Stati Uniti. Gilda rimase in America ben 29 anni. Dovunque si presentava, con le sue canzoni che ricordavano le vicissitudini degli emigranti italiani in America, riscuoteva un enorme successo. Si sposò in America con Frank Acierno, figlio del suo primo manager negli Stati Uniti.

Con lo scoppio della seconda guerra mondiale le autorità le impedirono di presentare i suoi spettacoli nei teatri più importanti a causa della cittadinanza italiana. Gilda non si perse d’animo, affittò un teatrino nella periferia di New York e con degli autobus, presi a noleggio, trasportava il suo pubblico fino a quel piccolo teatro.

Durante la guerra visitò e organizzò spettacoli nei campi di concentramento dove erano stati rinchiusi gli italo-americani che, a causa dell’alleanza italo-tedesca, erano considerati dalle autorità statunitensi come nemici in patria.

Colpita profondamente dal trattamento ingiusto subito dai suoi compatrioti, Gilda Mignonette decise di tornare in Italia.

Questa storia è tratta dal volume “NOVECENTO. Napoli e napoletani del XX secolo” di Silvano Napolitano. AMAZON.IT

Nella serata d’addio del 17 maggio del 1953, si presentò sulla scena avvolta nel tricolore e cantò il suo repertorio, incluso il suo più grande successo: “A cartulina e Napule” riscuotendo uno strepitoso e commovente ultimo applauso.

A inizio giugno si imbarcò sul transatlantico Homeland, diretto a Napoli. Era su una sedia a rotelle a causa di una cirrosi epatica avanzata. L’8 giugno del 1953, quando la nave era davanti ad Algeri, a 24 ore dall’arrivo a Napoli, Gilda Mignonette si spense.

La seconda moglie del marito, l’americana Anny Acierno, organizzava ogni anno negli Stati Uniti una mostra dei ricordi di Gilda Mignonette in un piccolo museo a lei dedicato.

Sceneggiata napoletana

Tra le due guerre, dopo il Café Chantant, si affermò un nuovo tipo di spettacolo che metteva insieme la canzone con la prosa, la “Sceneggiata”, meglio conosciuta come “Sceneggiata napoletana”, poiché nacque ed ebbe il suo massimo fulgore nella città partenopea. Questo tipo di rappresentazione fu ideato per risparmiare sulle tasse che nel primo dopoguerra colpirono gli spettacoli di varietà. Con la sceneggiata si conservava l’essenza musicale dello spettacolo che veniva incorniciata da una rappresentazione in prosa di tipo drammatico. In genere si costruiva una storia sulla falsariga di una canzone di successo, che era il filo conduttore canoro di queste piccole commedie.

A Napoli furono molte le compagnie che si esibivano nella rappresentazione di sceneggiate che spesso venivano recitate nelle sale cinematografiche dove, su un palco di ridotte dimensioni, davanti al telo del cinema, venivano offerte agli spettatori come anteprima del film.

Tra le più famose compagnie di questo genere teatrale ci fu la Cafiero-Fumo nella quale si cimentò anche Nino Taranto. Un’altra famosa compagnia fu il team “Maggio” che rappresentò spettacoli sia in Italia che in America. La compagnia fondata da “Mimì” Maggio ebbe attori del calibro di Beniamino e Dante Maggio e attrici di successo come Pupella e Rosalia Maggio, tutti poi diventati attori di teatro e di cinema.

Mario Merola

Nel secondo dopoguerra divenne famoso Mario Merola con la sua compagnia dedita alla rappresentazione della “sceneggiata napoletana”.

Mario Merola nacque a Napoli nel 1934. Il padre era un umile operaio che esercitava il mestiere di ciabattino nel rione di Sant’Anna alle Paludi (Corso Arnaldo Lucci), dove abitava. In gioventù Mario Merola giocò al calcio nelle giovanili del Napoli e in altre squadre. Fu anche calciatore in squadre di serie C. Ancora giovane iniziò a lavorare nel porto in qualità di scaricante.

Insieme a un suo collega, possedendo una bella voce, tentò la carriera di cantante. A una festa in onore della Madonna, davanti alla chiesa di Sant’Anna alle Paludi, la “Star” della festa, il cantante Mario Trevi, tardava a presentarsi. I suoi amici lo incoraggiarono a salire sul palco per esibirsi, approfittando del vuoto scenico. Ebbe un successo enorme. Incise i suoi primi dischi e partecipò alla sua prima sceneggiata, “Malufiglio”, al teatro Sirena.

Nel 1959 vinse un concorso per voci nuove al teatro 2000 (piazza Carlo III), in quello stesso concorso si classificò seconda la cantante Gloriana, allora quindicenne. Raggiunto il successo, partecipò a innumerevoli spettacoli e concerti.

Prese parte a numerose feste di Piedigrotta e Festival di Napoli. Nel 1994 fece la sua unica apparizione al Festival di Sanremo con “Una vecchia canzone italiana”. Fu protagonista di numerosi B-movie girati per la maggior parte a Napoli, nei quali veniva rappresentata la tradizionale e “romantica” guapperia storica.

Fu chiamato il “Re della sceneggiata” per i numerosi successi in questo tipo di spettacolo. Famosissima rimase la sua interpretazione di “Zappatore” sul filo conduttore della omonima canzone di Libero Bovio del 1930.

Nel 1977 Mario Merola fu invitato a una festa alla Casa Bianca, insieme a Luciano Pavarotti, dal presidente Gerald Ford. I due dovevano rappresentare la melodia classica napoletana. Non ebbero modo di accordarsi sui brani da presentare. Mario Merola, che cantò per primo, mise involontariamente in difficoltà Pavarotti, poiché avevano in repertorio molti brani in comune.

Intanto il suo successo proseguì. Merola divenne un cantante e un attore conosciuto in tutta Italia. Nel 1981 girò il suo miglior film, “Lacrime napulitane”, regia di Ciro Ippolito e con un cast di tutto rispetto, in cui erano presenti Angela Luce, Pupella Maggio, Benedetto Casillo. 

Alla fine degli anni ottanta Mario Merola fu accusato di associazione mafiosa, dalla quale poi fu completamente assolto. Questa vicenda giudiziaria rallentò la sua carriera artistica.

Il 7 novembre del 2006, mentre si trovava a Castellammare per uno spettacolo, si sentì male e venne ricoverato per indigestione. Il 12 novembre si spense per arresto cardiocircolatorio. I funerali si tennero nella chiesa del Carmine a Napoli. La piazza antistante la chiesa e l’adiacente piazza Mercato accolsero una folla di suoi fans per l’ultimo saluto al “Re della Sceneggiata”.

La canzone classica napoletana

La canzone classica a Napoli contava su due diverse interpretazioni: quella più genuinamente popolare, cantata da interpreti senza preparazione accademica, ma con la bravura innata di chi quelle canzoni ha sempre sentito cantare e ha cantato, e quella più sofisticata, interpretata dai cosiddetti “cantanti di giacca”, cioè quegli interpreti che si presentavano al pubblico ben vestiti, cantanti provenienti da scuole di canto, quale il Conservatorio di Napoli, e quindi porgevano le canzoni del repertorio classico con tutti i crismi musicali.

Nunzio Gallo

Tra gli interpreti più popolari della canzone napoletana è da ascrivere Nunzio Gallo che aveva studiato al Conservatorio di Napoli con ottimi risultati, educando la propria voce al canto lirico, con timbro da tenore e poi da baritono. Nunzio Gallo era nato nel 1928. Apparteneva a una famiglia di modesti commercianti della Pignasecca, strada-mercato ai margini dei quartieri spagnoli.

Nel 1945 partecipò, diciassettenne, a uno spettacolo al teatro delle Palme ottenendo un clamoroso successo. In seguito a questo, abbandonò gli studi del conservatorio e si dedicò alla musica leggera, interpretando il repertorio classico napoletano. Nel 1948, dopo aver vinto un concorso della RAI, venne assunto come cantante. Nel ‘54 partecipò a una rappresentazione della “Traviata” di Verdi al teatro San Carlo, insieme al famoso soprano Renata Tebaldi.

Nunzio Gallo, ormai cantante di gran successo, non si limitò al repertorio napoletano e alle partecipazioni a vari Festival di Napoli e feste di Piedigrotta, ma spaziò con il suo repertorio presentando canzoni anche a numerosi Festival della Canzone Italiana. Nel 1956 maturò la sua vittoria al festival di Sanremo con “Corde della mia chitarra”, che cantò in coppia con Claudio Villa. Uno dei suoi maggiori successi fu “Sedici anni”.

Partecipò a numerosi film dimostrando la sua poliedrica vena di artista. Come attore dimostrò una bravura pari a quella di cantante.

Svolse anche una proficua attività manageriale, gestendo varie manifestazioni canore su numerose piazze e teatri d’Italia, dove ebbe la possibilità di scoprire nuovi talenti canori.

Il 22 febbraio del 2008 si spense in una clinica di Telese Terme dopo mesi di ricovero a causa di una emorragia cerebrale. I suoi quattro figli: Gianfranco, Massimiliano, Jerry e Loredana hanno tutti seguito le sue orme come attori e cantanti.

Roberto Murolo

Fu il cantante per eccellenza della canzone colta napoletana. Nacque a Napoli nel 1912. Il padre era il poeta Ernesto Murolo. Roberto Murolo in gioventù fu un valente sportivo. La sua specialità erano i tuffi. Venne anche premiato dal duce in persona, a piazza Venezia (Roma), per i suoi meriti sportivi.

La sua casa era frequentata dai maggiori poeti e musicisti napoletani: Salvatore Di Giacomo, Raffaele Viviani, Libero Bovio, colleghi e amici del padre. Questi incontri alimentarono la sua passione per la musica.

Iniziò la sua carriera artistica fondando un suo quartetto a cui diede il nome “MIDA”, riprendendo le iniziali dei cognomi dei suoi componenti: Murolo, Imperatrice, Diacova e Arcamone. Con questo complesso girò l’Europa suonando musica americana.

Dopo la fine della guerra tornò in Italia dove si esibì per un lungo periodo presso il Tragara Club di Capri, interpretando il repertorio classico napoletano alla maniera degli chansonnier francesi. Nel periodo caprese registrò diversi dischi con un discreto successo di vendite, inoltre partecipò come attore e cantante ad alcuni film.

Nel 1954 venne accusato di corruzione di minorenne e passò un periodo in prigione. Al processo di appello venne condannato a 11 mesi di reclusione con la condizionale.

In seguito alla condanna rinunciò per un lungo periodo alle apparizioni in pubblico preferendo dedicarsi allo studio della musica. In questo periodo incise “Napoletana. Antologia cronologica della canzone napoletana”. Una raccolta di LP nei quali presentò tutta la produzione canora napoletana interpretata con il suo particolare timbro vocalico.

Dal 1990 riprese a lavorare intensamente con concerti e dischi nei quali duettò con Fabrizio De Andrè, Mia Martini, Consiglia Licciardi.

Roberto Murolo si spense nella sua casa in via Cimarosa al Vomero il 13 marzo 2003.

La sua abitazione, che era stata anche quella del padre Ernesto Murolo, come ricorda una targa affissa sulla facciata del palazzo, oggi è la sede della Fondazione “Roberto Murolo”.

Il Jazz e il Rock a Napoli

Dopo la guerra, con l’arrivo degli alleati si fece largo la musica Jazz e il Rock. Era il tipo di musica richiesto dai militari che a Napoli venivano a trascorrere le loro licenze dal fronte. La maggior parte dei militari presenti in città erano afro-americani con il ritmo jazz nel sangue.

Renato Carosone

Renato Carosone era nato nei vicoli del quartiere Mercato nel 1920. Il padre era un impresario teatrale che si dilettava a suonare il mandolino. Intraprese lo studio del pianoforte affiancato da valenti maestri: Orfeo Albanese, Vincenzo Romaniello e Celeste Capuana. Si diplomò a 17 anni in pianoforte con il maestro Vincenzo Curcio.

Ebbe subito un ingaggio con una orchestrina che era stata scritturata per una lunga tournée in Africa. L’orchestra si esibiva presso un ristorante di Massaua in Eritrea. Poco dopo si trasferì ad Asmara dove conobbe la veneziana Italia Levidi che sposò poco dopo.

Trasferitosi ad Addis Abeba divenne direttore musicale del teatro Odeon e dell’omonimo night club. Durante la sua permanenza ad Addis Abeba cominciò a creare il suo repertorio fatto di Jazz e Rock and Roll a beneficio dei militari inglesi del posto.

Dopo la guerra, tornato in Italia, mise in piedi un trio con Peter Van Wood alla chitarra e Gegè Di Giacomo, nipote del famoso poeta Salvatore, alla batteria. Il trio si esibiva allo Shaker Club, mitico locale di via Partenope, situato nel piano interrato dell’hotel Miramare.

In questo night iniziò a presentare le sue innovative canzoni: Maruzzella, Tu vuò fa’ l’americano, Torero, avendo un immediato successo anche grazie alla bravura del chitarrista e ai funambolici assoli di Gegè Di Giacomo che oltre a suonare la batteria faceva da controcanto a Carosone.

Renato Carosone fu il primo musicista cantante della televisione italiana. Solo 4 ore dopo la inaugurazione della TV in Italia, lui e la sua orchestrina erano presenti sul piccolo schermo con il programma “l’orchestra delle quindici”. Il complesso, che era stato abbandonato da Peter Van Wood, si era nel frattempo allargato con l’ingresso di Franco Cerri alla chitarra, Claudio Bernardini, voce, sostituito poi da Pietro Giorgetti. Si aggiunsero in seguito Alberto Pizzigoni, chitarra, e Riccardo Rauchi, sassofono.

Nel 1958 Renato Carosone e il suo complesso fecero una memorabile tournée in America, dove si esibirono alla Carniege Hall, che fino ad allora aveva ospitato solo musica classica.

Nel 1959, al culmine del successo, annunciò improvvisamente e inspiegabilmente il suo ritiro dalle scene.

Solo nel 1975 riprese a presentarsi in pubblico. Il suo nuovo debutto fu alla Bussola di Viareggio di Sergio Bernardini. La RAI riprese l’avvenimento mandandolo in onda con il titolo “Bentornato Carosone”. Continuò l’attività artistica interpretando i suoi successi in chiave ironica e sofisticata, ed esibendosi come concertista di pianoforte.

Renato Carosone si spense a Roma il 20 maggio 2001. Aveva donato il suo pianoforte al noto cantante Gigi D’Alessio, anche lui un ottimo concertista di piano, diplomato al Conservatorio di Napoli.

Peppino di Capri

Peppino di Capri rappresenta l’anima rock della canzone napoletana poi sfociata nel twist, il ritmo che lui ha importato in Italia.

Giuseppe Faiella nacque nell’isola di Capri nel 1939. Sia il nonno, che suonava nella banda musicale di Capri, che il padre, che gestiva un negozio di dischi e strumenti musicali, erano due grandi appassionati di musica. Da bambino iniziò lo studio del pianoforte ma, appena quattordicenne, si esibiva insieme ai suoi amici sui piccoli palcoscenici dei locali notturni di Ischia e Capri, abbandonando lo studio dello strumento.

Peppino, con la band “Capri Boys”, di cui facevano parte Nino Amenta, Ettore Falconieri, Mario Cenci e Gabriele Varano, venne notato dal discografico milanese Carisch che li invitò a Milano per registrare alcuni dischi. I cinque arrivarono a Milano a bordo di una Fiat 1100 e registrarono 10 brani. Su consiglio di Carisch, Peppino Faiella assunse il nome d’arte di Peppino di Capri e la sua band cambiò il nome in “I Rockers”. Venivano presentati come “Peppino di Capri e i suoi Rockers”.

Nel 1958 Carisch pubblicò le 10 canzoni in cinque 45 giri. La particolarità fu che ebbero un grande successo non le canzoni del lato A dei dischi ma quelle relegate al lato B. Infatti il terzo disco messo in vendita, lato A “Pummarola boat” e lato B “Nun è peccato”, e il quinto con lato A “Mbraccio a me” e lato B “Malatia” ebbero un grandissimo successo di vendita con i rispettivi lati B. “Nun è peccato” e “Malatia” divennero due hit di Peppino di Capri.

Negli anni ‘60 il cantante fu protagonista di alcuni film, i cosiddetti “musicarelli”: Vicino ‘o mare, Se piangi tu, Lassame. Inoltre partecipò al film “Maurizio, Peppino e le indossatrici” con Maurizio Arena.

In quegli anni importò in Italia il ritmo del Twist con il successo “Let’s twist again”, lanciato in America da Chubby Checker. La canzone ebbe tanto successo in Italia che anche Chubby Checker la cantava al modo di Peppino di Capri.

Negli anni settanta, dopo un periodo di crisi, riprese la sua attività artistica rinnovando il suo repertorio, senza però tradire le vecchie canzoni che lo avevano portato al successo. Partecipò complessivamente a 15 festival di Sanremo vincendone due, nel ‘73 e ‘76 con “Un grande amore e niente più” e “Non lo faccio più”. Il ‘73 fu l’anno in cui lanciò il suo più grande successo canoro: “Champagne”.

In questi ultimi anni ha preso parte ad alcuni film: Terra bruciata, Capri. Molto particolare il ruolo ironico avuto nell’ultimo film in cui ha recitato, “Natale col boss”, in cui Peppino interpreta il Boss. Nel film un boss della malavita si fa fare una plastica facciale, ma per un equivoco invece di assumere le sembianze di Leonardo di Caprio, assume quelle di Peppino di Capri.

Peppino ha segnato una pietra miliare nella canzone napoletana, dove pur conservando la linea melodica partenopea, ha saputo coniugare la tradizione con i ritmi provenienti dall’America: il Rock, il Twist, il Blues.

Il Blues partenopeo

Un gruppo di giovani musicisti cercò il rinnovamento della musica e della canzone napoletana in una nuova chiave ritmica, coniugando il Rythm and Blues afro-americano con la tradizionale musica partenopea. Questo rinnovamento riprese i primi esperimenti già fatti nel dopoguerra, favoriti dalla presenza dei militari afro-americani in città. I maggiori protagonisti di questa “nuova” musica partenopea furono: Pino Daniele, Enzo Gragnaniello, Rino Zurzolo, Tullio De Piscopo, Enzo Avitabile, James Senese.

Pino Daniele

Il più importante esponente di questo “sound” fu Pino Daniele. Giuseppe Daniele era nato nel 1955 in uno dei più popolari e storici quartieri di Napoli, a ridosso della chiesa di Santa Chiara. Figlio di un modesto operaio, frequentò la scuola elementare Guglielmo Oberdan, alle spalle di Palazzo Gravina (Facoltà di Architettura), dove ebbe come compagno di banco Enzo Avitabile. Proseguì gli studi presso l’istituto commerciale A. Diaz di via Tribunali.

Dopo il diploma diede spazio alla sua passione per la musica. Iniziò nel complesso “Batracomiomachia” con Zurzolo e Avitabile, poi continuò come chitarrista suonando in vari gruppi e partecipando a diverse registrazioni di dischi.

Nel 1976 entrò a far parte, come bassista, dell’ensamble “Napoli Centrale”, dove maturò la sua professionalità approfittando della presenza nel complesso di James Senese che poi continuò a collaborare con lui anche in seguito. Nel ‘77 lanciò le notissime canzoni “Napule è”, che dichiarò di aver scritta a soli 18 anni, e “Na tazzulella ‘e café”.

Agli inizi degli anni ‘80 aprì il concerto di Bob Marley a Milano. Poi incise l’album “Nero a metà” con il quale inaugurò la sua cifra Blues. L’album era dedicato ai musicisti napoletani “neri a metà” che tanto contribuivano al Blues in salsa partenopea: James Senese (figlio di un afro-americano) e Mario Musella (figlio di un nativo americano, indiano), tutti esponenti del “Neapolitan power” fusione di Rock, Blues, Jazz.

Fu un felice decennio per Pino Daniele che consolidò il suo successo che fu anche internazionale. Cantò a San Siro con Carlos Santana e Bob Dylan. Fece dischi con Chick Corea e George Benson. Fece delle tournée in Europa con i maggiori artisti mondiali. Chiuse il decennio con l’album “Mascalzone latino” che poi divenne il nome del team velico che partecipò alla America’s Cup.

Negli anni novanta scoprì di avere problemi cardiaci, e pertanto rallentò la sua frenetica attività artistica. Nel ‘95, dopo qualche tournée in Italia, registrò “Non calpestare i fiori nel deserto” nel quale mescolò pop, oriente e Africa insieme a sonorità napoletane. L’album fu il successo discografico dell’anno, seguito due anni dopo da un altro album “Dimmi cosa succede sulla terra” che ebbe anche più successo del precedente.

Nel 2008 tornò a suonare con i suoi vecchi compagni di “band”: De Piscopo, Senese, Amoruso, Zurzolo, Esposito con i quali incise un triplo CD con 45 pezzi, tra nuove composizioni e vecchie hit. In quell’anno fece un concerto a Piazza del Plebiscito al quale parteciparono anche Giorgia, Avion Travel, Nino D’Angelo, Irene Grandi e Gigi D’Alessio. Fu il suo trionfo, nella sua piazza, nella sua città, con il pubblico che lo aveva più amato. Il concerto fu ripreso dalla RAI e trasmesso in diretta.

Dopo la sua esibizione nella trasmissione televisiva del 31 dicembre del 2014, “L’anno che verrà”, ripresa a Courmayeur, Pino Daniele si spense a causa di una crisi cardiaca il 4 gennaio 2015, mentre dalla sua casa di Orbetello cercava di raggiungere in auto l’ospedale Sant’Eugenio di Roma.

(Foto in alto: Renato Carosone, anni 60)