Arco Naturale Capri, 2007, S. Napolitano

CAPRI, TRA MITO E STORIA

Questa è una breve narrazione che riguarda vicende che segnano la storia di Capri, dai ricchi romani che trovano serenità e riposo nelle loro ville, all’amore tra Axel Munthe e la regina Vittoria di Svezia che sboccia nello scenario di Villa San Michele.

Le rovine di antiche mura nell’abitato di Capri e la Scala Fenicia, che collega Marina Grande con Anacapri, rivelano la presenza di una colonia greca sull’isola. Questa colonia, insieme a Neapolis e ad altri insediamenti sulla penisola sorrentina, appartiene al versante sud della Magna Grecia in Campania. In questa parte della Magna Grecia viene praticato il culto delle sirene. Le popolazioni degli insediamenti greci che insistono a nord di Nea­polis, dei quali Cuma e Pithecusa sono i più rappre­sentativi, praticano il culto di Apollo.  Sono presenti sull’isola due villaggi di coloni Teleboi, una popolazione proveniente dalla regione greca affacciata sul mar Ionio chiamata Arcarnania. I due centri abitati sono situati nella stessa posizione che sarà poi occupata da Capri e da Marina Grande. Un altro agglomerato urbano, formato da coloni greci che si dedicano all’agricoltura, nasce sull’altopiano di Anacapri. Il villaggio, presente dove oggi c’è l’agglomerato di Capri, si collega con un moderato declivio con l’abitato di Marina Grande e con il porto dell’isola, che si trova nell’insenatura chiamata Cala Grande. Per creare un più agevole collegamento tra l’insediamento allocato sull’altopiano di Anacapri e il porto, viene costruita, tra il VII e il VI secolo a.C., la Scala Fenicia. L’aggettivo “Fenicia” sarà usato a partire ­dal ‘600, quando alcuni storici riterranno erroneamente che i primi a colonizzare l’isola siano stati i Fenici. La scala, con i suoi 921 gradini, inizia dalla spiaggia di Cala Grande, per terminare nei pressi dell’attuale Villa San Michele, dove si trova la “Porta della Differenza”. La porta segna il confine storico tra il comune di Capri e quello di Anacapri. Fino al 1877, quando viene costruita la strada rotabile che congiunge Anacapri con Capri e Marina Grande, la scala rimane l’unica via di collegamento con quella località. Per tale motivo, fino a tempi relativamente recenti, il trasporto delle persone e delle merci avviene a mezzo di asini, gli unici in grado di portare carichi in groppa sugli scoscesi viottoli dell’isola.  

Il poeta greco Omero, nell’Odissea, fa riferimento a una località marina narrando delle mitiche sirene, località che molti studiosi identificano con l’isola di Capri. Omero racconta che Ulisse, dopo la lunga sosta presso la maga Circe, si reimbarca per cercare di raggiungere la sua Itaca. La rotta dovrà necessariamente incrociare lo scoglio dove vivono le sirene. Ulisse è consapevole del pericolo che rappresentano. Queste richiamano con il loro canto, al quale nessun uomo riesce a resistere, i marinai che navigano nei pressi. È un richiamo mortale poiché gli sventurati che, lusingati da questi canti melodiosi, accostano con le imbarcazioni per guardare da vicino la loro nuda bellezza e per avere il loro amore, non fanno più ritorno. Ulisse, che vuole ascoltare il loro canto e ammirare i loro corpi, decide di avvicinarsi il più possibile con la propria nave. Per resistere al mortale richiamo, si fa legare all’albero mae­stro imponendo ai suoi marinai di tapparsi le orecchie. Il racconto del passaggio davanti allo scoglio delle sirene è drammatico. Ulisse, come impazzito, tenta di sciogliersi dalle cime che lo legano all’albero dell’imbarcazione. Implora i suoi marinai di liberarlo. Fortunatamente gli uomini, che non possono ascoltare il canto delle sirene, stringono ancor più i nodi che tengono Ulisse bloccato. In tal modo l’eroe omerico salva la sua vita e quella dei suoi uomini. Il poeta greco non inventa nulla. La leggenda delle sirene è una delle tante storie che i naviganti del tempo si raccontano l’un l’altro, storie vere anche se mitizzate. Le sirene di Omero non sono certo metà donna e metà pesce, bensì sono un gruppo di prostitute che, con i propri canti e mostrandosi nude dallo Scoglio delle Sirene di Marina Piccola, sul litorale sud di Capri, attirano i marinai, vogliosi di sesso dopo lunghi ed estenuanti giorni di navigazione. Per questo motivo i naviganti, che per loro sfortuna si trovano ad attraversare il braccio di mare tra Punta Ventroso e i Faraglioni, entrano con le loro imbarcazioni nella piccola rada dove vengono accolti e rifocillati dalle leggiadre fanciulle. Dopo averli soddi­sfatti nelle loro voglie, le cosiddette sirene avvelenano gli occa­sionali amanti con bevande e decotti di erbe. I loro uomini, che si celano nelle vicinanze, depredano le barche. Infine si liberano dei corpi delle vittime gettandoli in mare.    

Dopo i greci arrivano i romani che rimangono incantati dalle bellezze dell’isola. Vari imperatori di Roma non tardano a farsi costruire principesche residenze nei posti più incantevoli di Capri. Villa Jovis, Villa a Mare e Villa Damecuta, le cui rovine sono ancora visitabili, sono le testimonianze che restano di ben 12 ville romane presenti sull’isola. L’imperatore Cesare Ottaviano Augusto scopre l’isola durante il suo viaggio di ritorno dall’Egitto, dove ha sconfitto Antonio e Cleopatra, annettendo l’Egitto all’impero. Felice per la vittoria ottenuta, ben accolto dai coloni greci che abitano Capri, elegge l’isola a sede dei suoi ozi, dei suoi periodi di riposo. Come primo atto trasferisce l’isola sotto la diretta amministrazione di Roma, sottraendola al controllo di Napoli. Fa quindi costruire la sua villa su un piccolo pianoro nei pressi dell’odierna Marina Grande, i cui resti sono conosciuti come Palazzo (o Villa) a Mare, dove l’imperatore soggiorna per lunghi periodi.

Questa storia è tratta dal volume “RACCONTI DA CAPRI” di Silvano Napolitano. AMAZON.IT

Tiberio, figlio adottivo e successore di Augusto, abita sull’isola per oltre un decennio, preferendo le bellezze di Capri agli agi della dimora imperiale di Roma. Tiberio governa Roma e l’impero dalle dimore dell’isola. Capri diventa una capitale. Fa costruire un porto sulla grande marina, all’altezza di Palazzo a Mare, facilitando gli spostamenti con Roma e con la vicina Miseno, la principale base della flotta romana. Inoltre fa costruire la splendida Villa Jovis sul monte Tiberio, dove soggiorna in piena solitudine alternando passeggiate a lunghi riposi. Durante la sua precedente vita militare aveva contratto la tubercolosi, che cura godendo del dolce clima dell’isola. Inoltre soffre di una seria miopia. La salute malferma lo rende sospettoso. Teme complotti contro la sua persona da parte degli avversari politici. Per questo motivo non ama ricevere visite dai concittadini romani. La leggenda, forse ingiustamente, ci presenta un Tiberio crudele che si diverte a uccidere schiavi facendoli buttar giù dal dirupo che si trova nei pressi della sua dimora. Accanto a Villa Jovis viene costruito un faro, situato su una torre, per permettere le comunicazioni, a mezzo di fuochi, con la penisola sorrentina e la base marittima di Miseno.

Giulio Cesare Germanico, chiamato Caligola perché da bambino indossava calzature militari chiamate calighe, frequenta molto l’isola, ospite di Tiberio, di cui è un nipote alla larga dato che la nonna materna era figlia di Augusto. È un imperatore un po’ stravagante. I suoi nemici dicono che è un pazzo sfrenato. A riprova di ciò portano ad esempio la nomina a senatore del suo cavallo. La verità è che il cavallo non viene nominato senatore. Siccome il senato è talmente decaduto, trasformato in un mercato di cariche e favori, Caligola ha solo affermato che il suo cavallo è più intelligente di un senatore. Per questo motivo è odiato dalla casta senatoriale e a soli 28 anni è vittima di un complotto. Viene assassinato da alcuni militi della guardia imperiale.

Durante il periodo romano l’isola è interessata da notevoli lavori urbanistici che si rendono necessari per l’aumento della popolazione derivante dalla presenza di personalità di alto rango. Viene costruita anche una rete idrica con numerosi serbatoi di raccolta di acque piovane. Delle 12 ville imperiali restano poche rovine. Attualmente sono visibili i resti di tre ville romane, quelle principali fatte costruire da Augusto e Tiberio: Villa Jovis, nella parte più alta dell’abitato di Capri, Villa Damecuta, situata nel comune di Anacapri a monte della Grotta Azzurra, Palazzo a Mare, a Marina Grande vicino alla spiaggia di Tiberio. Sui resti di una villa imperiale, anch’essa di origine romana, verrà costruita Villa San Michele, dimora del medico svedese Axel Munthe. La presenza romana sull’isola dà grande tranquillità alla popolazione che, ben difesa dalla flotta imperiale che ha la sua base nella vicina Miseno, viene liberata dai timori di invasioni dal mare da parte di pirati. I capresi si trasferiscono in gran numero vicino al porto, dove si sviluppa l’attuale abitato di Marina Grande.

Con la decadenza dell’impero e con le invasioni barbariche inizia il periodo più buio della storia di Capri. Durante il medioevo l’isola è teatro di continue scorrerie da parte di pirati che approfittano delle limitate capacità difensive dei pochi abitanti dell’isola. È finito il tempo del benessere e della sicurezza assicurato dagli imperatori romani. La già fiorente popolazione locale è impoverita, sopravvive di pesca e delle poche risorse agricole del luogo. Si riduce di numero a causa delle numerose epidemie portate sull’isola da marinai di passaggio.

Nell’866 Capri viene trasferita sotto la giurisdizione di Amalfi dall’imperatore Ludovico II che, in tal modo, vuole ricompensare i cittadini amalfitani, i quali si sono schierati contro il duca di Napoli Sergio che ha imprigionato il vescovo Attanasio nella fortezza situata sull’iso­lotto di Megaride, oggi conosciuta come Castel dell’Ovo. Poiché Amalfi subisce influenze culturali dall’oriente a causa dei suoi traffici marittimi, anche a Capri l’influenza orientaleggiante si riconosce nell’architettura di numerosi edifici dell’isola.    

Nello stesso secolo iniziano le incursioni dei pirati saraceni, predoni provenienti dalla Tunisia e dall’Algeria. Le isole del golfo di Napoli sono obiettivi preferiti dei pirati poiché si presentano completamente indifese. Non sono certo quei pochi isolani male armati e peggio addestrati che possono contrastare le fameliche bande di pirati. Per difendersi dai saraceni i capresi costruiscono due castelli. Il primo dei due viene eretto ad Anacapri nel 998. Esso è conosciuto come Castello di Barbarossa, nome che ricorda non una vittoria, bensì una sconfitta. Infatti il famigerato pirata Khair al-Din, conosciuto come Barbarossa a causa del colore della sua barba, conquistò il castello nel 1543. Il secondo, detto il Castiglione, viene eretto nel 1003 a Capri. Quando vengono avvistate le navi saracene, gli abitanti dell’isola si rifugiano al sicuro all’interno delle mura dei due castelli o si nascondono nelle numerose grotte dell’isola. Questo non evita che molti di loro, che si trovano lontano dai castelli o che non sono sufficientemente veloci nel mettersi al sicuro, siano catturati e destinati a una vita di schiavitù. Gli uomini vengono incatenati ai remi delle imbarcazioni per poi essere destinati alla vendita come schiavi nei mercati algerini e tunisini. Le donne vengono utilizzate per la soddisfazione dei pirati e, una volta sbarcate, anche loro vendute come schiave. Gli abitanti di Marina Grande sono costretti ad abbandonare le loro case in riva al mare, troppo esposte alle incursioni e si trasferiscono nell’abi­tato di Capri, circondato da mura megalitiche la cui origine si perde nella notte dei tempi e che, negli anni difficili delle incursioni saracene, vengono sopraelevate per costituire una valida difesa. Inoltre possono agevolmente trovare rifugio nella fortezza del Castiglione. Le case abbandonate di Marina Grande sono a poco a poco occupate da pirati saraceni che per qualche motivo non riescono e reim­barcarsi sulle proprie navi dopo le incursioni. Formano una piccola comunità composta da nuclei familiari creati con donne isolane. Si integrano con la popolazione locale abbracciando la religione cristiana. Ancora oggi i capresi chiamano “saraceni” gli abitanti di Marina Grande.   

Il XVI secolo è uno dei più terribili per l’isola. Vere e proprie orde di pirati arrivano dal mare per fare incursioni sulle coste dell’Italia meridionale. 85 galee, comandate da Khair al-Din, il terribile pirata Barbarossa, dopo aver messo a ferro e a fuoco diverse località della Calabria e della Campania, attraccano a Capri. Non sono sufficienti i castelli per difendere la popolazione. La fortezza di Anacapri viene conquistata dai pirati. Gli abitanti sono tutti tratti in schiavitù e trasferiti ad Algeri. Lo stesso, anni dopo, fanno le navi del pirata Dragut, ancora più spietato del Barbarossa. I saraceni saccheggiano case e chiese, uccidendo e schiavizzando un gran numero di isolani. Al mercato di Algeri certo non scarseggiano schiavi cristiani.

Non sono solo le incursioni dei pirati a rendere difficile la vita dei capresi. Nel 1656 la grande epidemia di peste che interessa tutta l’Europa colpisce anche l’isola. Nonostante le cure che madre Serafina di Dio, al secolo la caprese Prudenza Pisa, dedica ai colpiti dall’epidemia, la metà degli abitanti muoiono. Rimangono in vita solo 400 isolani.

Serafina di Dio è nata a Capri nel 1621, ha abbracciato la vita monacale aderendo alla regola delle Carmelitane Scalze. È una delle “sante in vita” presenti a Napoli in quel secolo, insieme a suor Orsola Benincasa e Giulia Di Marco, la discussa suor Partenope. Queste sante donne hanno in comune il dono dell’estasi, alla stregua di Santa Teresa d’Avila. Serafina fonda sette monasteri di Carmelitane. Il primo convento, dedicato a Santa Teresa, viene costruito a Capri nel 1661. Adiacente all’edificio viene eretta la chiesa dedicata al SS. Salvatore.

Con Carlo III, il primo Borbone di Napoli, inizia il risveglio economico, culturale e turistico dell’isola. Carlo III ama soggiornarvi. Possiede a Capri un casino di caccia che utilizza durante le sue escursioni sull’isola. Il Borbone vuole riportare alla luce i resti delle antiche costruzioni romane. Fervono sull’isola i lavori di scavo. Il recupero delle dimore imperiali viene continuato anche dal figlio Ferdi­nando IV che sale sul trono di Napoli nel 1759 dopo che Carlo III è stato richiamato in Spagna, sua patria d’origine, per succedere allo zio Ferdinando IV, re di Spagna.  Monumenti e colonne ritrovati durante i lavori di scavo sono utilizzati come abbellimenti dei palazzi reali di Napoli e Capodimonte. Il pavimento di Villa Jovis diviene lo splendido pavimento della chiesa di Santo Stefano situata sulla piazzetta di Capri.

Nel 1806 i francesi occupano il Regno di Napoli. Giuseppe Bonaparte diviene re di Napoli mentre Ferdinando IV di Borbone, accompagnato dalla moglie Maria Carolina d’Austria si rifugia a Palermo protetto dagli inglesi, essendo anche re di Sicilia. I francesi sbarcano a Capri nel gennaio del 1806. Dopo pochi mesi gli inglesi, che cercano di contrastare in tutti i modi i francesi, aggrediscono la piccola guarnigione di stanza sull’isola con un consistente corpo di sbarco, formato da due reggimenti al comando del contrammiraglio Sir William Sidney Smith. William Sidney Smith viene da una lunga carriera nella marina inglese, contrassegnata da numerosi successi, tali da essere considerato il migliore dei comandanti dopo Nelson. I suoi atteggiamenti irrispettosi nei con­fronti dei suoi superiori e il sospetto che avesse avuto una relazione con la principessa Caro­lina di Brunswik, moglie del principe di Galles, futuro re Giorgio IV, giocano a suo sfavore nella considerazione che l’alto comando della marina ha nei suoi confronti.

Gli inglesi attaccano l’isola e la conquistano, sconfiggendo la piccola guarnigione presente sul luogo. Trasformano Capri nella loro base sul Tirreno, facendo ingenti lavori di fortificazione che coprono molte rovine delle ville romane. Solo nel 1808, dopo l’arrivo a Napoli di Gioacchino Murat che ha sostituito Giuseppe Bonaparte sul trono di Napoli, Capri viene riconquistata e ricongiunta al Regno di Napoli.

All’inizio del novecento l’isola è meta privilegiata del movimento turistico. Lo scrittore socialista russo Maxmin Gor’kij vi soggiorna per diversi anni ospitando numerosi letterati e politici tra i quali Sibilla Aleramo, Arturo Labriola, Napoleone Colajanni. Anche Lenin è per due volte ospite dello scrittore a Villa Blaesus e a Villa Ercolano.

In epoca fascista i due comuni dell’isola, Capri e Anacapri, vengono unificati in un’unica amministrazione comunale. Tornano a dividersi nel dopoguerra. L’isola di Capri è la prima località italiana a essere liberata dai tedeschi per iniziativa di truppe italiane. Sull’isola è di stanza un reparto di bersaglieri, circa 100 uomini, comandati dal colonnello Guido Marsiglia. I tedeschi, dopo il comunicato radio con il quale gli italiani vengono informati della firma dell’armistizio con le forze alleate, diventano improvvisamente i nemici da combattere. Marsiglia prende le sue decisioni, dislocando gli uomini a sua disposizione nei punti nevralgici dell’isola. Poi si reca dal comandante delle truppe tedesche presenti a Capri, anch’esse un centinaio di uomini, per concordare la partenza delle stesse senza che l’isola venga a soffrire per azioni militari. Il tenente Kurt Schleier, consapevole di non poter ricevere rinforzi dalla terraferma e trovandosi in inferiorità numerica, concorda con il colonnello Marsiglia l’imbarco dei suoi uomini. L’imbarco avviene il mattino seguente, il giorno dopo la firma dell’armistizio. Le truppe tedesche lasciano l’isola a bordo di un “vaporetto”, una piccola motonave che collega ogni mattina l’isola con Napoli attraversando il golfo.

Il giorno dopo, il 10 settembre, si presenta nel porto di Capri una piccola flotta della marina militare italiana. È la II Flottiglia MAS comandata dal capitano di Fregata Alessandro Michelagnoli, formata da sette motosiluranti. I MAS hanno lasciato Gaeta in piena notte per sfuggire a una più che probabile requisizione da parte delle forze tedesche. Ora Capri è ben difesa per mare e per terra da forze italiane. Gli inglesi e gli americani che arrivano sull’isola trovano un pezzetto d’Italia libera. Capri diventa un piccolo comando alleato da dove vengono dirette le truppe che, sbarcate a Salerno, stanno risalendo lentamente la penisola, diretta a Roma. 

Subito dopo la firma dell’armistizio i servizi alleati raggiungono Benedetto Croce, che si trova “sfollato” con la famiglia a Sorrento, dove alloggia a Villa Tritone, per evitare che venga preso prigioniero dai tedeschi. Il filosofo è considerato dagli alleati il candidato ideale per guidare il nuovo governo di un’Italia liberata.

Croce ha una grande notorietà nazionale e internazionale e, inoltre, non è compromesso con il fascismo. È vero che non è stato quasi mai infastidito dal regime, salvo una volta che un manipolo del fascio gli ha invaso la sua casa di fronte alla basilica di Santa Chiara distruggendone il mobilio, ma questo a causa del rispetto generale di cui gode e di una antica amicizia con Giovanni Gentile, ministro della cultura nel governo fascista. Croce considera il legame con Gentile sospeso, ma non cancellato, a causa delle idee di Gentile in favore del regime. 

Il tenente Gallegos della Royal Navy, agli ordini diretti del maggiore Malcolm Münthe, figlio di Axel Münthe, il medico svedese che ha vissuto diversi anni a Capri a Villa San Michele, raggiunge con un veloce mezzo da sbarco Sorrento, presentandosi a Villa Tritone. I servizi inglesi vogliono evitare che i tedeschi arrivino per primi da Croce. Intendono trasferire lui e la sua famiglia a Capri, la prima località italiana liberata. Il filosofo in un primo momento rifiuta di muoversi, non vuol fare la figura di chi fugge. Alla fine viene convinto e si imbarca sul motoscafo. Lo accompagnano tre delle sue quattro figlie. Raggiunge Capri dove viene provvisoriamente ospitato in albergo. Dopo qualche giorno sarà ospite nella villa degli Albertini, proprietari del Corriere della Sera, suoi lontani parenti. La moglie Adelina Rossi e la figlia Alda restano ancora un giorno a Villa Tritone per preparare le valigie. Raggiungono i familiari il giorno seguente con i bagagli.

A Capri Benedetto Croce ha la possibilità di incontrare numerosi esponenti delle forze alleate, compreso William Donovan capo dello spionaggio USA in Italia. Ha avuto incarico dal presidente Franklin Delano Roosevelt di rendere possibile la formazione di un governo che rappresenti l’Italia liberata dai tedeschi. Croce prospetta la formazione di una forza militare italiana che possa collaborare con gli alleati nei combattimenti contro le truppe tedesche. Vengono incaricati della creazione del Corpo Italiano di Liberazione il partigiano napoletano “Mondo”, Raimondo Craveri, marito di Elena, figlia del filosofo, e il generale Giuseppe Pavone, legionario fiumano, di cui però gli alleati diffidano poiché lo considerano un ex fascista riciclato.

Il transito di militari inglesi e americani sull’isola di Capri contribuisce alla sua notorietà internazionale. Dopo la guerra l’isola diventa la meta turistica più gettonata nel mondo anglosassone. In questo piccolo lembo di terra si incrocia il turismo di una élite internazionale, ospitata nei migliori alberghi dell’isola, che vive le notti capresi in ritrovi e locali, e il turismo di massa che, sbarcando da piroscafi e aliscafi, affolla le strade dell’isola fino al tramonto, quando si reimbarca per tornare sulla terraferma.

(Foto in alto: Arco Naturale di Capri, 2007, S. Napolitano)