Sbarco in Normandia

D-DAY, SBARCO IN NORMANDIA

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La sostanziale sconfitta tedesca nella Battaglia d’Inghilterra del 1940 e la ritirata della Wehrmacht in terra sovietica furono i prodomi di quella che divenne la più gigantesca operazione di sbarco di forze militari. Il 6 giugno del 1944 le forze alleate, principalmente britanniche e statunitensi sbarcarono sulle spiagge francesi della Normandia. Fu l’inizio della disfatta tedesca che si concretizzò nel maggio del 1945 con l’occupazione di Berlino da parte di militari americani, britannici, francesi e sovietici.

Nella conferenza di Casablanca del gennaio del 1943, alla quale parteciparono Winston Churchill e Franklin D. Roosevelt, con i generali Dwight Eisenhower, Charles De Gaulle e Harold Alexander, furono decise le azioni risolutive per sconfiggere Hitler. Si programmò lo sbarco degli alleati in Sicilia e la massima pressione aerea sul territorio tedesco con velivoli basati negli aeroporti inglesi. Inoltre ci fu  un accordo di massima sullo sbarco degli alleati in Francia o Belgio nel momento di massima debolezza delle forze tedesche. Nel maggio dello stesso anno nella conferenza denominata Trident, tenuta a Washington, si decise che nella primavera dell’anno successivo sarebbe iniziata l’invasione della Germania a partire dalla Francia settentrionale.

BATTAGLIA DI DUNKERQUE

I britannici già avevano tentato un’offensiva insieme alle truppe francesi nella Francia del nord nel maggio del 1940. Il tentativo di respingere l’invasione tedesca non ebbe successo. Le truppe britanniche e quelle francesi, circa 400.000 uomini, furono chiuse dai panzer tedeschi in una sacca sulla costa settentrionale, al confine con il Belgio. Vennero martellate inesorabilmente dall’artiglieria nemica in quella che fu chiamata “Battaglia di Dunkerque”. Solo una straordinaria operazione di salvataggio via mare riuscì a salvare gli intrappolati nella sacca. Centinaia di imbarcazioni militari e civili partirono dall’Inghilterra meridionale. Raggiunsero le spiagge di Dunkerque. Raccolsero tutti gli uomini trasferendoli al di là della Manica. All’operazione parteciparono, oltre al naviglio militare, tutti i civili che disponevano di una imbarcazione. Anche barche a remi facevano la spola tra le spiagge, dove prendevano a bordo militari britannici, e le navi che aspettavano al largo. Le ferrovie inglesi, con un numero incredibile di convogli, raccoglievano a loro volta i militari sbarcati sulla costa della Manica per trasferirli nelle località più interne del paese. In ultimo furono raccolti anche i militari francesi che avevano resistito eroicamente fermando l’offensiva tedesca. L’operazione si concluse alle 3 e 40 del 4 giugno. Rimasero a terra circa 30.000 soldati francesi che, impegnati negli scontri, non erano riusciti a raggiungere in tempo i punti d’imbarco.

AMERICANI E INGLESI PREPARANO LO SBARCO IN NORMANDIA

Il primo problema che gli stati maggiori americano e inglese si trovarono ad affrontare nella pianificazione dello sbarco previsto nella prima metà del ’44 fu scegliere il luogo dove doveva avvenire lo stesso. Calais fu scartata perché, essendo il posto più adatto a uno sbarco per la vicinanza e la presenza di un porto capiente, i tedeschi avevano provveduto a fortificare la costa trasformandolo nel luogo più inadatto allo stesso. Restava da scegliere tra Normandia e Bretagna. La Bretagna in quanto penisola poteva trasformarsi in un cul de sac. Pertanto la scelta cadde sulle spiagge della Normandia, nei pressi di Omaha, che si presentavano più adatte. Erano lunghe e ampie, al riparo dai venti occidentali che avrebbero potuto infastidire i mezzi da sbarco. Inoltre la regione non era adeguatamente presidiata dalle forze tedesche poiché si trovava nel mezzo di una zona franca situata tra i territori di competenza della 15a armata e quelli della 5a armata della Wehrmacht.

Il 7 dicembre del 1943 fu nominato comandante dell’operazione il generale statunitense Dwight Eisenhower. La forza navale fu affidata all’ammiraglio britannico Bertram Ramsay, le operazioni aeree all’inglese maresciallo capo Trafford Leigh-Mallory, le truppe di terra erano sotto il comando del generale Bernard Law Montgomery anch’egli britannico. Eisenhower volle che nell’operazione fossero coinvolte cinque divisioni invece delle tre inizialmente previste. Inoltre pianificò l’intervento delle truppe aviotrasportate che dovevano occupare la penisola Cotentin che, a causa della presenza di ampie zone paludose, si presentava meno adatta a un approccio via mare. Le truppe americane erano destinate a sbarcare sul lato occidentale verso Brest e la Bretagna, dove avrebbero potuto ricevere più facilmente rifornimenti dalle navi provenienti dall’America. Inglesi e canadesi dovevano sbarcare più verso est e dovevano fermare le truppe tedesche prendendo possesso dei nodi stradali. Bisognava bloccare le vie d’accesso alla Normandia per impedire l’arrivo dei rinforzi nemici.

Per ingannare il comando tedesco venne pianificata anche un’operazione di sbarco a Calais. Al comando di questa operazione civetta nella quale erano coinvolti relativamente pochi uomini fu posto il migliore dei generali statunitensi, George Smith Patton. Il comando affidato al generale d’acciaio, così era soprannominato Patton, convinse ancor più i tedeschi che lo sbarco sarebbe avvenuto a Calais, dove furono rinforzate le difese a scapito della costa normanna. Quello che non sapevano era che Patton era stato messo un po’ da parte a causa di inappropriati comportamenti nei confronti della truppa avvenuti durante lo sbarco in Sicilia. Il 15 maggio il piano dell’operazione Neptune fu esposto alle più alte cariche britanniche alla presenza di re Giorgio VI. L’inizio dell’operazione era previsto per l’alba del 5 giugno del 1944. La resistenza francese già da inizio anno aveva ricevuto la direttiva di sabotare le linee ferroviarie e i nodi stradali per rendere più difficoltoso lo spostamento di truppe tedesche verso il luogo di sbarco.

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ROMMEL ORGANIZZA IL VALLO ATLANTICO

Nel 1943 Hitler aveva nominato il suo più valente generale, il feldmaresciallo Erwin Rommel, come comandante del settore nord occidentale. A parere di Rommel tutte le forze tedesche dovevano concentrarsi sul fronte sovietico. Una sconfitta a oriente avrebbe compromesso l’esistenza stessa della Germania. Il fronte sud, dove in Sicilia erano sbarcati gli alleati, poteva essere controllato con un esiguo numero di truppe. I vari colli di bottiglia determinati dalla orografia dell’Italia, stretta, lunga e montuosa, avrebbero facilitato il blocco dell’avanzata delle forze alleate. Inoltre bisognava a tutti i costi impedire lo sbarco di americani e inglesi in Francia per dare tempo alle truppe impegnate sul fronte orientale di arrestare l’avanzata sovietica.

Rommel si dedicò alla creazione di una linea fortificata di difesa che si stendeva dall’Olanda alla Bretagna, detta Vallo Atlantico. Fece costruire casematte e piazzole di artiglieria sulle spiagge che riteneva fossero le più esposte a uno sbarco. Fece stendere campi minati e ostacoli sulle linee di risacca per rendere più difficoltoso l’occupazione delle spiagge a seguito di uno sbarco. Una lunga diatriba intercorse nel comando tedesco sull’utilizzo dei carri armati. Rommel era dell’idea di avere vicino ai probabili luoghi di sbarco i panzer. Il comando delle Panzer-Division era dell’idea di tenerle in un luogo a nord di Parigi per poi farle intervenire dove sarebbe avvenuta l’invasione. Hitler risolse il contrasto affidando tre divisioni di carri armati a Rommel e altre tre al generale Heinz Guderian. Questi si sistemò nei pressi della capitale francese con i suoi carri. Il contributo della marina tedesca alla difesa del Vallo Atlantico fu minimo. Solo poche unità erano dislocate nella zona della Manica.

IL D-DAY

La sera del 4 giugno Eisenhower ebbe buone notizie dal servizio meteorologico. Dopo giorni di cattivo tempo erano previste 36 ore di mare calmo e cielo sereno. Si decise pertanto di effettuare lo sbarco la mattina del 6 giugno, con un giorno di ritardo sulla data prevista. Il comando tedesco invece riteneva che l’attacco sarebbe iniziato in un giorno della seconda metà di giugno proprio a causa del maltempo. La resistenza francese fu avvertita con un messaggio di Radio Londra, la messa in onda della “Chanson d’automne”. Doveva mettere in atto il sabotaggio di ponti e strade ferrate per impedire gli spostamenti delle truppe e dei panzer tedeschi. Il messaggio fu ascoltato anche dai tedeschi che ne conoscevano il significato. La notizia non arrivò in tempo a Rommel che si trovava in Germania per festeggiare il compleanno della moglie. I comandi subalterni non diedero soverchia importanza all’allarme ricevuto. Solo la 15a divisione di stanza a Calais entrò in allarme. I tedeschi si aspettavano lo sbarco avvenisse in quella zona.

La notte tra il 5 e il 6 giugno l’aviazione alleata, con 9600 velivoli, bombardò pesantemente le truppe in difesa del Vallo Atlantico per affievolire la capacità di reazione delle stesse. Era importante concedere 24 ore di relativo respiro alle truppe che sbarcavano con i mezzi anfibi in modo che formassero una testa di ponte in grado poi di resistere all’offensiva dell’artiglierie e dei carri tedeschi. Poco dopo la mezzanotte gli aerei alleati iniziarono a lanciare paracadutisti francesi con il compito di sabotare le linee di comunicazione. Furono seguiti da altri paracadutisti che da terra dovevano guidare gli aerei con il grosso delle truppe aviotrasportate. Inoltre 3.500 uomini di fanteria furono trasportati su enormi alianti che atterrarono sui campi coltivati. La maggior parte dei piloti di questi alianti e molti degli uomini a bordo morirono durante l’atterraggio per impatti contro ostacoli inaspettati. A causa dell’inesperienza dei piloti, dei circa seimila uomini paracadutati, solo in tremila riuscirono a radunarsi. Molti furono uccisi dai tedeschi e altri restarono isolati in piccoli gruppi. Nonostante ciò le truppe aviotrasportate riuscirono ad incidere positivamente sul risultato dell’operazione. Anche i gruppetti isolati di paracadutisti si attivarono in autonomia dando il loro contributo contro il nemico.

I comandi tedeschi, nonostante che le postazioni di sorveglianza sulla costa della Normandia segnalassero la presenza di una flotta di centinaia di navi in avvicinamento, erano scettici che si trattasse effettivamente della temuta invasione. La confusione tra i vari livelli di comando e l’assenza del feldmaresciallo Rommel ritardò la reazione delle forze tedesche.

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LO SBARCO SULLE SPIAGGE DELLA NORMANDIA

Alle 5 e 30 aerei alleati bombardarono le postazioni difensive tedesche posizionate sulle spiagge interessate allo sbarco.

Alle sei di mattina del 6 giugno si presentò davanti alle spiagge tra Le Havre e la penisola Cotentin una flotta formata da 6.483 navi. Issavano bandiera statunitense e inglese. In mezzora le migliaia di navi trovarono la posizione che era stata assegnata a ognuna di esse. Alle 6 e 30 iniziò lo sbarco delle truppe. Migliaia di uomini si calarono sui mezzi da sbarco che percorsero in pochi minuti il breve tratto di mare tra le navi e la spiaggia.

Al settore americano erano toccate le spiagge di Omaha, Utah e Pointe du Hoc.

A Omaha la reazione contro le unità da sbarco fu rabbiosa ed efficace. Molte di queste non arrivarono a riva, colpite dall’artiglieria nemica affondarono. 27 dei 32 carri armati Sherman non riuscirono a toccare terra. I soldati tedeschi erano pochi ma ben armati e protetti nelle loro casematte. Le loro mitragliatrici pesanti fecero dei vuoti impressionanti tra le truppe che avevano toccato terra. Il fotografo Robert Capa che si trovava con i soldati americani documentò con le sue foto il contributo di sangue di quegli uomini.

Sulla spiaggia di Utah la situazione si presentò più favorevole. I pochi caposaldi tedeschi furono presto sopraffatti, permettendo uno sbarco quasi indisturbato delle truppe americane e dei loro carri Sherman. Un solo cannone da 210 mm. situato sull’isolotto di Marcouf diresse i suoi tiri verso il luogo dove stavano sbarcando i militari alleati. Ottenne solo un minimo rallentamento delle operazioni. I morti su quella spiaggia furono 193 dei circa 23.000 uomini sbarcati.

Lo sbarco a Pointe du Hoc era reso più difficoltoso dal fatto che dopo la spiaggia bisognava scalare una scogliera discretamente alta. Furono i ranger, dotati di scale di corda munite di rampini, ad affrontare per primi la risalita della scogliera. Sotto il fuoco dei difensori tedeschi lanciarono dei razzi a cui erano legati i rampini che fecero presa sulle rocce. Dopodiché affrontarono la salita lungo il dirupo. Molte scale furono tagliate dai tedeschi facendo cadere giù i ranger che si stavano arrampicando. In tanti continuarono la scalata senza ausilio delle scale ma approfittando degli appigli forniti dalla parete rocciosa. Quando un buon numero di ranger fu su, pronto a contrastare i tedeschi, non si trovò nessuno. I nemici erano fuggiti per evitare lo scontro diretto.  

Il lato orientale del fronte di sbarco era destinato agli inglesi, che avevano tre spiagge dove prendere terra: Sword, Juno e Gold.

Alle 7 e 30, davanti alla spiaggia di Sword iniziarono le operazioni alleate. I primi a sbarcare furono i guastatori con il compito di liberare dagli ostacoli il bagnasciuga. Seguirono le unità da sbarco con 4 carri Sherman ognuno. Fu costituita una testa di ponte sulla spiaggia che permise uno sbarco abbastanza tranquillo dei militari. L’unica difficoltà fu la cronologia non rispettata che causò un vero e proprio ingorgo di mezzi e soldati.

Peggio andò a Juno dove i tedeschi reagirono vigorosamente. Molte delle unità da sbarco furono affondate già alla prima ondata. Solo sei carri armati riuscirono a toccare terra. I militari alleati incontrarono un’accanita resistenza dei tedeschi. Il previsto ricongiungimento delle truppe sbarcate a Sword con quelle di Juno non riuscì poiché la strada era sotto saldo controllo dei militari tedeschi.

Sulla spiaggia di Gold si ebbero alterne vicende. Alcuni settori della spiaggia erano ben protetti dalle casematte da cui i tedeschi tenevano sotto tiro gli uomini che stavano sbarcando. Altri settori erano invece del tutto sguarniti di difese permettendo che gli inglesi e i loro carri Centaur toccassero terra senza incontrare resistenza.

L’AVANZATA IN NORMANDIA

Il primo obiettivo degli inglesi fu prendere possesso dell’aeroporto di Carpiquet per permettere l’atterraggio degli aerei della RAF e americani che trasportavano truppe. Altro obiettivo della prima ora era conquistare l’importante città di Caen e il suo porto, liberandola dagli occupanti tedeschi, in modo che le navi cariche di soldati e armamenti potessero attraccare. Le truppe al comando del generale Montgomery non riuscirono a completare l’occupazione della città. Erano spossati dalla fatica dello sbarco e dai combattimenti che avevano dovuto affrontare. Nella pianificazione delle operazioni si era sovrastimata la resistenza delle truppe alle avversità che avrebbero incontrato. Solo nei giorni seguenti fu possibile completare l’occupazione di Caen.

L’obiettivo americano era la regione del Cotentin dove le truppe sbarcate a Utah e a Pointe du Hoc poterono avanzare velocemente stante la poca resistenza incontrata al momento dello sbarco. Nella stessa giornata avvenne anche il ricongiungimento tra le truppe sbarcate e quella paracadutate. Gli uomini che avevano toccato terra a Omaha rimasero bloccati sulla spiaggia fino a pomeriggio inoltrato a causa dell’accanita resistenza tedesca. A fine giornata le truppe comandate dal generale Bradley erano riuscite ad avanzare solo per 1,5 chilometri verso l’interno.

Nei giorni seguenti la testa di ponte si consolidò nella regione della Normandia. Il primo importante passo verso la riconquista dell’Europa era fatto.

La reazione tedesca non fu immediata. In assenza di Rommel il generale Alfred Jodl, sollecitato la mattina del 6 giugno dal generale von Rundstedt, inviò solo una parte delle truppe corazzate che aveva a disposizione. Non credeva che quello segnalato fosse lo sbarco principale. A quel punto solo Hitler poteva disporre diversamente. Ma quella notte il Fürher aveva sofferto d’insonnia. Si svegliò dopo le 10 di mattina. Informato della situazione che si delineava in Normandia rimase anche lui interdetto. Non era convinto che si trattasse del vero sbarco. Solo nel primo pomeriggio a Berlino si resero conto di quello che stava succedendo. Fu quindi dato ordine che la riserva strategica dei panzer, ferma a nord di Parigi, si recasse al più presto nella zona delle operazioni. Ma era ormai troppo tardi per fermare gli alleati sul bagnasciuga. I carri armati tedeschi giunsero sulle coste della Normandia solo la mattina del giorno successivo.

Fu allertata anche l’aviazione affinché effettuasse dei voli di ricognizione per verificare la portata dell’attacco. I primi piloti che giunsero sul posto ebbero modo di verificare l’infinita distesa di navi a ridosso delle spiagge. L’intensissimo fuoco antiaereo che partiva dalle navi impedì agli aerei tedeschi di intervenire se non con azioni sporadiche e di effetto limitato. Nel pomeriggio del D-Day la testa di ponte alleata era ben consolidata.

A Berlino Hitler era convinto di riuscire a distruggere i due eserciti, l’inglese e l’americano. Erano sul suolo francese dove risultava possibile che le forze tedesche potessero avere il sopravvento su quelle alleate. Non aveva fatto i conti con l’ingente mole di uomini e mezzi che inglesi e americani erano riusciti a portare nel nord della Francia. Solo dopo alcuni giorni il comando di Berlino ebbe la consapevolezza della complessiva operazione nemica, la quale, in poche ore, era riuscita a mettere sulla difensiva le truppe della Wehrmacht.

Le perdite degli anglo-americani assommarono a 4.400 morti e circa 8000 feriti. La maggior parte di queste si ebbero sulla spiaggia di Omaha. Anche i tedeschi soffrirono di ingenti perdite. Si valuta che i loro morti fossero tra i 4.000 e gli 9.000. La Germania non rese mai noto il numero preciso delle vittime.