
NAPOLI AL TEMPO DI …
di Silvano Napolitano
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La fondazione del primo nucleo della città avvenne intorno al IX secolo a.C. sull’isolotto di Megaride (dove oggi sorge Castel dell’Ovo) e sulla vicina costa antistante Pizzofalcone (monte Echia). Non era una vera e propria cittadina ma un piccolo villaggio fondato molto probabilmente dai greci di Pithecusa (Ischia), che vollero creare un approdo sicuro per collegarsi con la terraferma. Questo borgo venne chiamato Parthenope in onore della omonima sirena che, secondo la leggenda, era approdata sull’isolotto di Megaride a seguito della delusione d’amore sofferta a causa di Ulisse. Un’altra leggenda, più credibile, racconta Parthenope come la bellissima figlia di Eumelo Favelo, uno dei condottieri greci che avevano fondato la città, morta durante la traversata tra la Grecia e l’Italia, la cui tomba era sull’isolotto di Megaride.
Nella seconda metà dell’ottavo secolo a.C. gli abitanti di Cuma, per affermare la loro supremazia sull’intera costa campana, fondarono una vera e propria città sulla collina di Pizzofalcone, conglobando in essa l’antico nucleo fondato dai Pithecusani, chiamandola Parthenope. Questa polis, oltre al vecchio abitato ai piedi del monte Echia e sull’isolotto di Megaride, si sviluppò da Pizzofalcone, dove probabilmente era situata l’agorà, lungo l’attuale via Monte di Dio, fino a piazza Santa Maria degli Angeli, dove, secondo questa ipotesi, era situata l’acropoli, con un disegno che grosso modo ricorda l’attuale conformazione: chiesa di Santa Maria degli Angeli al posto del tempio dedicato a Parthenope e la caserma Nino Bixio a Pizzofalcone al posto dell’antica agorà.
La città si trovava in una posizione favorevole, su un promontorio circondato da tre lati dal mare mentre il quarto lato era difeso dal dirupo verso l’attuale via Chiaia. Ai piedi della collina, dove oggi si trovano i giardini della litoranea, era situato il porto della cittadina, a cui si accedeva mediante un viottolo che può individuarsi nel percorso di via Cesario Console.
Parthenope diventò un’importante base greca a supporto delle navi che intendevano raggiungere le colonie più lontane dalla madre patria, situate sulle coste della Sardegna e della Spagna. Esse si dovevano fermare nel suo porto per fare i necessari rifornimenti.
Questa storia è tratta dal volume “NAPOLI AL TEMPO DI … Episodi e personaggi della storia partenopea” di Silvano Napolitano. AMAZON.IT
Nel 506 a.C. si ebbero contrasti tra il tiranno di Cuma Aristodemo e una parte dell’aristocrazia. I ribelli furono espulsi. Gli aristocratici cacciati fondarono una nuova città a cui diedero il nome di Neapolis (città nuova). Essa si trovava a circa un chilometro a oriente di Parthenope, tra due corsi d’acqua. A ovest scorreva un torrente che proveniva dalla collina dell’Arenella (il nome Arenella deriva dalle rive sabbiose del torrente), attraversava quello che oggi è il Cavone, sbucando a pochi metri dell’attuale piazza Dante, per proseguire per le odierne Via Monteoliveto e via Medina, immettendosi nel mare all’altezza di piazza Municipio. A est un altro corso d’acqua, partendo dal burrone della Sanità, percorreva via Cirillo, via Carbonara, via Maddalena e, attraversando il Lavinaio (dove le donne nell’antichità lavavano i panni nel fiume), sbucava nel mare all’altezza dell’attuale piazza del Carmine. Inoltre la città era protetta a nord da impervie colline e a sud dal mare.
I continui contatti via mare con la madre patria greca, in particolare con l’isola Eubea, situata a pochi chilometri da Atene, e con la stessa città stato, furono la ragione del suo veloce sviluppo. In pochi decenni superò in importanza la stessa Parthenope, che soffriva questa città vicina, con la quale aveva intensi rapporti, ma che ne fagocitava la crescita economica.
In effetti a Parthenope risiedevano gli aristocratici delle due città. Neapolis invece rappresentava il cuore economico. Le due cittadine erano da considerarsi come un’unica entità politica. Nel 466 a.C. Neapolis accolse i Pithecusani che avevano abbandonato la loro isola a causa di un violento terremoto. Negli anni seguenti genti osce raggiunsero la Campania invadendo Capua e Cuma, determinando un flusso migratorio da queste città verso Neapolis. La “città nuova” seppe gestire al meglio i rapporti con gli osci evitando di essere invasa militarmente dagli stessi, dando loro ospitalità e concedendo alcune cariche nel governo cittadino.
Dal 300 a.C. la presenza degli osci in città, popolo di stirpe sannita che rappresentava circa la metà della popolazione, determinò continui contatti con gli abitanti del Sannio, nonché la presenza di un contingente di armati sanniti posti a difesa di questo popolo. L’altra metà della popolazione, di origine greca, stanca della presenza di questi armati e per ripristinare la propria supremazia, fece intervenire l’esercito romano, che entrò in città. In seguito fu stretto un patto con i romani: “Foedus Neapolitanum”, con il quale si poterono sviluppare rapporti commerciali con Roma.
Da quest’alleanza discende una curiosa particolarità. Gli storici romani (Strabone, Livio, Lutazio) non citeranno più il nome Parthenope nei loro resoconti. Chiameranno la cittadina Palepolis (città vecchia), considerandola una appendice e non più come la “metropolis” di Neapolis. questo a causa dell’atteggiamento delle deputazioni delle due città che risiedevano in Parthenope, che avevano dimostrato di non gradire l’alleanza con Roma. Al contrario, i “principes” di Neapolis trattarono con Roma anche a nome della “Palepolis”, stringendo alleanze commerciali e militari.
Altre fonti raccontano che Parthenope, priva di mura difensive, fu abbandonata dai suoi abitanti, che si rifugiarono presso la vicina Neapolis, ben dotata di sistemi difensivi. Secondo questa versione gli abitanti dell’antica “metropolis” furono ben accolti dai loro quasi concittadini, che costruirono una appendice alle mura dal lato occidentale della città, tra l’attuale via del Sole (l’antico cardine dedicato al Sole) e via Costantinopoli, area oggi occupata dal cosiddetto “Vecchio Policlinico”, dove i Parthenopei trovarono sistemazione. Questa nuova area cittadina fu chiamata Palepolis (città vecchia) poiché aveva sostituito l’antica Parthenope.
Già nel 300 a.C. Neapolis aveva assunto la struttura urbana tuttora presente nel centro storico della città. Essa aveva quattro decumani (vie che attraversavano la città da est a ovest). Il decumano superiore, più a nord, oggi è denominato via Anticaglia per la presenza di antichi ruderi, attualmente completamente nascosti dalle costruzioni che si affacciano sulla strada. È tuttora presente una leggera curvatura della strada dove era posto il grande anfiteatro, coperto per intero da un isolato che conserva la forma rotonda dell’originaria costruzione greco-romana, nel cui cortile sono visibili delle rovine appartenenti all’antico anfiteatro. Il decumano maggiore attualmente è denominato via Tribunali, per la presenza del tribunale (nella sede dell’antico tribunale della Vicaria) che ha svolte le sue funzioni fino a pochi anni fa, e che ancora oggi ospita aule di rappresentanza dell’odierno tribunale. Al centro del decumano maggiore, tra l’attuale piazza S. Gaetano e l’incrocio con via Duomo, si trovava il foro della città. Il decumano inferiore è riconoscibile in via Spaccanapoli, che divide in due il centro storico. Il quarto decumano è solo parzialmente riconoscibile tra via S. Marcellino e via Arte della Lana essendo stato occupato da costruzioni successive.
Nel 280 a.C. Neapolis fu aggredita da Pirro, re dell’Epiro, che voleva impadronirsene per farne una base per la successiva avanzata verso Nord, durante la sua spedizione in Italia contro i romani. La resistenza della città diede tempo a Roma di riorganizzare le proprie difese all’altezza di Capua. Nonostante le sue vittorie Pirro fu costretto a rifugiarsi in Sicilia, e poi lasciare l’Italia, per le gravi perdite subite nei combattimenti contro i romani, da cui il detto “vittoria di Pirro”.
Successivamente, quando Roma fu impegnata nelle guerre puniche, Neapolis si schierò con i romani, contrapponendosi a Capua che si era alleata con i cartaginesi di Annibale. Questa fedeltà a Roma la favorì a scapito di Capua, facendola diventare la più importante città in Campania, promossa a municipio romano.
Tra il 73 e il 71 a.C. si registrò la terza guerra servile, scoppiata tra schiavi ribelli e romani. Essa riguardò l’area tra Capua, il Vesuvio e Nocera. La guerra ebbe la sua origine con la sollevazione di Spartaco e dei suoi compagni schiavi e gladiatori, ai quali poi si unirono umili servi e contadini. Ci vollero ben due anni, nei quali i romani subirono cocenti sconfitte, per avere la meglio sui ribelli.
Nel I secolo a.C. e nel I secolo d.C. Neapolis, con i suoi dintorni, si trasformò nel luogo di villeggiatura dei ricchi romani. Tra Pizzofalcone e l’isola di Megaride fu costruita la grandiosa villa di Lucullo, mentre Pollione costruì la sua alle falde della collina di Pausylipon (Posillipo), in una località oggi denominata Gaiola. Fu scavata anche una grotta, chiamata grotta di Seiano, che collegava la villa con i Campi Flegrei. Oggi è visitabile dall’ingresso posto alla discesa Coroglio.
La città divenne centro di riferimento per la cultura greca, tanto da essere eletta dall’imperatore Augusto, che era un ammiratore di quella civiltà, “custode della cultura ellenica”. Nel 42 a.C. la scuola di Filodemo e Sirone fu frequentata da Publio Virgilio Marone durante il suo soggiorno a Neapolis. Nel 2 d.C. fu costruito il Tempio dei giochi Isolimpici, giochi che si svolgevano in città in contrapposizione ai giochi olimpici che si svolgevano a Olimpia. I resti del Tempio sono stati ritrovati durante gli scavi della stazione di piazza Nicola Amore della linea 1 della metropolitana.
Nel 79 d.C. si ebbe la terribile eruzione del Vesuvio che distrusse Pompei ed Ercolano, apportando gravi danni anche a Neapolis. Il Vesuvio fino a quel momento non era stato considerato un Vulcano, essendosi persa memoria delle sue antiche eruzioni, bensì una fertile montagna sulle cui falde crescevano orti e vigneti che producevano un vino molto apprezzato in città. Una drammatica testimonianza oculare della tragedia fu quella di Plinio il giovane che, dalla sua villa di Miseno, poté osservare l’eruzione in tutta la sua violenza, descrivendola in una lettera indirizzata al suo amico Tacito.
Alla fine del I secolo iniziò a prendere piede in città il cristianesimo. La diffusione della nuova religione fu facilitata dalla presenza di una folta colonia ebraica che per prima aderì al nuovo credo. Il primo vescovo fu Aspreno, nominato dallo stesso San Pietro. Una delle prime chiese paleocristiane fu San Pietro ad Aram, dove celebrò messa San Pietro in persona. Con l’imperatore Diocleziano si ebbero persecuzioni di cristiani anche in città, che continuarono fino all’epoca dell’imperatore Costantino.
Durante l’impero di Costantino furono costruite diverse chiese tra cui San Giovanni Maggiore e San Gregorio Armeno ancora oggi esistenti. Patrono di Napoli fu nominato il vescovo di Benevento Gennaro, che era stato martirizzato mediante decapitazione nel 305. Il sangue di san Gennaro, che venne raccolto da alcuni fedeli, è conservato in una teca nel Duomo di Napoli. Ogni anno si verifica miracolosamente la sua liquefazione.
Nel 476
l’ultimo imperatore dell’impero romano d’occidente, Romolo Augusto, fu
imprigionato da Odoacre a Napoli, all’interno della villa fortificata di
Lucullo, che poi fu trasformata in Castel dell’Ovo.