Erano le 5 e 30 del mattino del 29 settembre 1978. La suora incaricata di portare la prima colazione al papa, Vincenza Taffarel, bussò alla porta della camera dove Sua Santità Giovanni Paolo I riposava, nell’appartamento riservato al papa nel Palazzo Apostolico del Vaticano. Non ebbe risposta. Ribussò. Aprì la porta ed entrò nella camera. Vide il papa nel letto, appoggiato alla spalliera con un libro in grembo e la luce accesa. Immobile e privo di sensi. Presa dal panico la suora corse a chiamare il segretario privato del papa, mons. Magee. I due si resero conto che il papa era deceduto.
Albino Luciani era nato a Forno di Canale (oggi Canale d’Agordo) il 17 ottobre del 1912. Era il maggiore di quattro fratelli di una modesta famiglia il cui genitore, per procurare il necessario ai suoi, era stato costretto a fare il migrante in Svizzera. Albino fu consacrato sacerdote il 7 luglio del 1935. Divenne insegnante del seminario di Belluno. Nel 1947 si laureò in teologia discutendo la tesi “L’origine dell’anima umana secondo Antonio Rosmini”. Era una tesi coraggiosa e di rottura poiché alcune opere del Rosmini erano state messe all’indice.
Nel 1958 fu nominato vescovo di Vittorio Veneto da Giovanni XXIII, che, essendo stato patriarca di Venezia, lo conosceva personalmente e aveva un’ottima considerazione di quel piccolo prete di salute malferma, schierato con i poveri e gli operai. Già due volte era stata proposta la sua nomina a vescovo. Erano state bocciate dalla curia romana a causa della salute malandata e della sua piccola statura.
Nel 1966, durante la sua permanenza nella diocesi di Vittorio Veneto, ebbe ad affrontare una spinosa questione sorta nella parrocchia di Montaner. Alla morte del vecchio parroco il vescovo Luciani nominò come nuovo titolare della parrocchia Don Giovanni Gava. I parrocchiani si dissero in disaccordo con la nomina del vescovo poiché indicavano come possibile parroco il cappellano Botteon. Luciani rimase sulle sue posizioni poiché, disse, i parroci vengono nominati dai vescovi e non eletti dai fedeli. Il contrasto assunse proporzioni preoccupanti, tanto che il nuovo titolare trovò murato l’ingresso e le finestre della chiesa. Il vescovo, Albino Luciani, visto inutile ogni tentativo, si recò personalmente a Montaner, scortato dai carabinieri, e ritirò le ostie consacrate dal tabernacolo, interdicendo la chiesa dalle funzioni religiose. A Montaner alcuni parrocchiani crearono una comunità ortodossa che sopravvive tuttora.
Nel 1969 papa Paolo VI nominò il vescovo Albino Luciani patriarca di Venezia. Nominato patriarca in un difficile periodo di crisi economica e di contestazione, Albino Luciani non esitò a intervenire direttamente nelle crisi delle industrie del Veneto al fianco degli operai che rischiavano il posto di lavoro o che erano stati licenziati. Inoltre mise in vendita molte proprietà della chiesa veneziana per sostenere economicamente le classi più deboli, che in quel periodo erano rappresentate dalle famiglie degli operai rimasti senza lavoro. Questo accrebbe la popolarità del patriarca Luciani tra la gente comune. Nel 1971 divenne vicepresidente della conferenza episcopale italiana.
Alcuni episodi sembravano prevedere l’elezione di Luciani al soglio pontificio. Nel 1972 papa Paolo VI si recò a Venezia. Dopo la solenne messa celebrata in piazza San Marco, gremita da una enorme folla di fedeli, Paolo VI prese la sua stola e la appoggiò sulle spalle di Luciani, come se lo avesse voluto indicare come suo successore. Nel 1977 Luciani si recò in Portogallo dove fece visita a suor Lucia Dos Santos a Coimbra. Suor Lucia era una delle tre pastorelle che avevano avuto la visione della madonna a Fatima. Sembra che la veggente predicesse ad Albino Luciani la sua nomina a papa. Questo non fece felice il porporato. Nei giorni seguenti appariva molto turbato dal colloquio avuto con suor Lucia. Da confidenze raccolte in seguito risultò che la suora avesse anche aggiunto che la sua permanenza ai vertici della chiesa sarebbe durata molto poco. Da quel momento il patriarca di Venezia divenne molto restio quando si parlava di una sua possibile nomina a papa, limitandosi a rispondere che augurava una lunga vita a papa Paolo VI.
Nel 1972 lo IOR cedette il 37% della proprietà della Banca Cattolica del Veneto, perdendone il controllo. Fino a quel momento la Banca Cattolica era stata il riferimento finanziario di tante piccole imprese del Veneto e di tante parrocchie che si appoggiavano all’istituto per i loro fabbisogni finanziari. Stesso destino fu riservato al Banco di San Marco, una banca fondata dalla diocesi veneziana nel 1895 e che raccoglieva i soldi delle parrocchie e dei sacerdoti veneti. Il patriarca Luciani, non informato preventivamente della cessione, si recò a Roma per avere chiarimenti e sostenere le ragioni del perché le due banche dovessero rimanere sotto il controllo della chiesa. In Vaticano incontrò monsignor Paul Marcinkus, presidente dello IOR, la banca del Vaticano. L’incontro non andò bene. Alle rimostranze di Luciani riguardo al fatto che le diocesi venete non erano state informate della decisione di cedere le banche e che i due istituti erano i maggiori sostenitori finanziari della chiesa veneta, monsignor Marcinkus rispose con fastidio e superbia, congedando il patriarca in modo rude.
Paul Marcinkus era nato nel 1922 a Cicero, sobborgo di Chicago, famoso poiché era anche il luogo natale di Al Capone. Diventato sacerdote, ben presto si trasferì a Roma per studiare diritto canonico. Nell’Urbe scalò posizioni di prestigio in seno alla gerarchia ecclesiastica. Nel 1963 fondò Villa Stritch, a due passi dal Gianicolo, per ospitare i prelati americani in visita a Roma. Per merito della sua notevole prestanza fisica divenne il bodyguard di papa Paolo VI nei suoi viaggi intorno al mondo. Nel 1969 venne nominato presidente dello IOR nonostante che fosse completamente a digiuno di finanza.
Nel 1972 scoppiò lo scandalo cosiddetto “Vatican connection”. La banca vaticana diretta da Marcinkus aveva acquistato dalla mafia una grande quantità di titoli azionari falsi. L’indagine che ne seguì fu affidata da Paolo VI all’FBI americana. Il Federal Bureau concentrò le sue attenzioni sul sostituto segretario di stato, cardinale Giovanni Benelli, prosciogliendo dalle accuse il proprio connazionale Marcinkus. Da quel momento ci furono sempre più stretti rapporti tra lo IOR e esponenti di poteri finanziari oscuri. Il tutto sfocerà, anni dopo, nello scandalo del Banco Ambrosiano con il conseguente “suicidio” di Roberto Calvi, presidente dello stesso, coinvolto in un ammanco miliardario. Nonostante che il Vaticano si dichiarasse estraneo al fallimento, lo IOR intervenne con un esborso di 250 milioni di dollari a copertura parziale dell’ammanco della banca.
Nel 1973 il patriarca di Venezia, Albino Luciani, fu nominato cardinale da Paolo VI. Nel 1978, morto Paolo VI, fu convocato il conclave del collegio cardinalizio per l’elezione del nuovo papa, al quale partecipò anche il cardinale Luciani. Il patriarca di Venezia aveva il sospetto che alcuni dei più importanti porporati partecipanti al conclave avessero individuato la sua figura come possibile futuro pontefice. Durante il conclave si rifugiava nella sua camera pur di non partecipare ai numerosi capannelli di cardinali che discutevano sul futuro papa. Si faceva vedere in giro il meno possibile, con la speranza di passare inosservato e non suscitare la tentazione nei suoi colleghi di eleggerlo pontefice. Non aveva dimenticato quello che suor Lucia gli aveva predetto. Nonostante tutto, il secondo giorno di conclave Luciani fu eletto papa. Egli rappresentava una via di mezzo tra i tradizionalisti duri e puri come il cardinale Siri, i sostenitori del concilio Vaticano II e i più progressisti. Sulla sua figura, sostenitrice di una chiesa povera ma tradizionalista nei principi di fede, si concentrò la maggioranza dei voti della quarta votazione.
“Habemus Papam” fu il tradizionale annuncio alla folla radunata in piazza San Pietro. Subito dopo il nuovo papa, che aveva scelto il nome di Giovanni Paolo I, ebbe il primo scontro con il cardinale Pericle Felice. Voleva fare un breve discorso alla folla ma gli fu impedito. Tradizionalmente era prevista solo la benedizione Urbi et Orbi del nuovo pontefice. Era la prima volta, dopo circa un millennio, che il papa sceglieva un nome mai utilizzato da papi precedenti. Inoltre fu anche la prima volta che al nome venne aggiunto il nominale I, non necessario essendo il primo papa a utilizzare quel “nomen”.
La curia vaticana mostrò davvero poco rispetto per il papa. Considerazioni positive sulla contraccezione formulate dallo stesso Luciani vennero semplicemente ignorate. L’Osservatore Romano, correggeva sistematicamente i suoi discorsi prima della pubblicazione. Papa Luciani preferiva la prima persona singolare al plurale maiestatico, nella trascrizione sull’Osservatore l’io veniva trasformato in “noi” dai redattori del giornale.
Il papa aveva più volte espresso le sue idee circa la povertà della chiesa. Inoltre non approvava come veniva amministrato lo IOR dal suo presidente Paul Marcinkus. Albino Luciani non nascondeva la sua volontà di ristrutturare completamente il settore finanziario del Vaticano. Era ancora vivo nella mente del papa il ricordo di Marcinkus che lo aveva trattato come un pretino fastidioso quando era andato a chiedere conto della cessione della Banca Cattolica del Veneto. Per il prelato americano era naturale credere che adesso che era diventato papa, il pretino gli avrebbe fatto pagare il suo operato. Un altro cardinale che temeva il nuovo papa era Jean-Marie Villot, che presiedeva la potentissima APSA, un ente vaticano che amministrava l’immenso patrimonio immobiliare di proprietà della chiesa e agiva come una vera e propria banca.
Altri contrasti papa Giovanni Paolo I li ebbe con il prefetto della Congregazione dei Vescovi, il cardinale Sebastiano Baggio, che aveva il potere di nominare i titolari delle diocesi. Luciani desiderava che venisse nominato alla chiesa di Venezia un prelato di sua fiducia ma Villot si opponeva al nominativo suggerito, volendo insediare a patriarca di Venezia un suo sodale. L’ultimo scontro tra Baggio e il papa fu il giorno precedente il suo decesso. Luciani si alterò e minacciò, se Baggio non avesse predisposto il decreto di nomina del patriarca di Venezia in base alle sue indicazioni, di mandare lo stesso cardinale Baggio a capo di quella diocesi. In giornata ebbe anche un incontro con il Segretario di Stato, cardinale Villot.
Il papa alle 20 del 28 settembre cenò con i suoi due segretari Diego Lorenzi e John Magee. Dopo cena ebbe una conversazione telefonica con l’arcivescovo di Milano cardinale Giovanni Colombo. I due segretari raccontarono in seguito che il papa confidò loro di avere delle fitte al petto. Il cardinale Colombo disse che, parlando a telefono con il papa, lo aveva sentito sereno e senza particolari affanni. Alle 5 e 30 del mattino seguente fu trovato adagiato sul letto, senza vita, dalla suora e dal segretario.
Albino Luciani soffriva di ipotensione e per combattere la stessa assumeva regolarmente farmaci. I medici del Vaticano indicarono come causa del decesso un infarto miocardico provocato probabilmente dallo stress accumulato dopo la sua elezione a papa. Come di consueto il corpo del papa non fu sottoposto ad autopsia, ma la cosa fu presa seriamente in considerazione. Un collegio di medici formato da tre sanitari si pronunciò sulla necessità o meno di effettuare la stessa. Due componenti del collegio dichiararono inutile l’autopsia confermando la causa del decesso comunicata dalle autorità vaticane, mentre il terzo medico era favorevole.
Sospetti sul decesso del papa furono alimentati anche dalla rivelazione della presunta associazione alla massoneria di alcuni componenti apicali del collegio cardinalizio. Il giornalista Mino Pecorelli, nei giorni precedenti, aveva pubblicato sul suo settimanale OP un elenco di personalità della chiesa che aderivano alla loggia massonica, tra i quali otto cardinali responsabili degli uffici più delicati del Vaticano. Cinque mesi dopo il giornalista fu assassinato con quattro colpi di pistola in via Orazio a Roma da un sicario rimasto sconosciuto.
I primi dubbi dei giornalisti nacquero dal fatto che il comunicato ufficiale indicava come autore della scoperta del decesso il segretario del pontefice mons. Magee. Fu invece appurato che la prima a entrare nella camera da letto del pontefice fu suor Vincenza Taffarel, preoccupata della mancata risposta del papa al suo ripetuto bussare alla porta della camera. Probabilmente sembrò inopportuno alle autorità vaticane rendere pubblico che una donna avesse libero accesso alla camera da letto del papa. Fu la stessa suor Vincenza a confermare il fatto anni dopo.
Altri sospetti si concentrarono sullo stato di salute del pontefice nei giorni precedenti il decesso e sulla causa scatenante dell’infarto. Le voci ufficiali interne della chiesa si affrettarono a mettere l’accento sul fatto che il papa il giorno precedente aveva avuto dei dolori al petto, ma aveva rifiutato l’intervento del medico, minimizzando il suo malore. Questa circostanza fu anche confermata dai due segretari Lorenzi e Magee. Ma le versioni dei due erano profondamente divergenti, mentre Lorenzi raccontò di un malore subito dopo il colloquio con il cardinale Villot, svoltosi in mattinata, Magee dichiarò che il papa aveva avuto il malore nel pomeriggio.
Alla tesi ufficiale della morte per infarto miocardico si affiancò una teoria che, pur non contraddicendo il comunicato dei medici vaticani, poneva l’accento sullo stress a cui era stato sottoposto il papa. Luciani aveva trovato opposizione a molte delle sue decisioni da parte dei cardinali, capi dei vari dicasteri vaticani, che avrebbero dovuto in teoria collaborare e aiutare il pontefice nel suo ministero. L’ultimo contrasto fu con il cardinale Baggio la mattina precedente il decesso. Questa continua tensione avrebbe provocato l’infarto.
La mancata autopsia alimentò speculazioni su un intervento esterno che avesse determinato il decesso. Anche le ambiguità del comunicato stampa e la circostanza che gli oggetti, gli appunti e le medicine che si trovavano sul luogo del decesso non fossero stati ritrovati, forse sottratti subito dopo la scoperta il cadavere, contribuirono all’alone di mistero. Il cardinale Aloisio Lorscheider, molto amico di Albino Luciani, anni dopo non riusciva a negare che dubbi sul decesso di Giovanni Paolo I potessero essere legittimi anche a causa della mancata autopsia che avrebbe chiarito definitivamente la causa del morte.
Lo scrittore David Yallop, nel suo libro “In nome di Dio”, abbracciò la tesi dell’omicidio, giustificandolo con le innovazioni che papa Luciani aveva intenzione di introdurre alle attività finanziarie e bancarie del Vaticano. Lo scrittore non portò delle prove decisive per la sua tesi. Considerò come indizi significativi la sparizione dei documenti e dei medicinali dalla camera di papa Luciani immediatamente dopo la scoperta del decesso, e la mancata autopsia. L’omicidio, sempre secondo Yallop, sarebbe maturato negli ambienti della massoneria deviata, quella stessa che il giornalista Mino Pecorelli aveva denunciato sul suo settimanale OP. Il delitto, come raccontato nel libro “In nome di Dio”, si sarebbe materializzato con l’assunzione inconsapevole di digitalina da parte di papa Giovanni Paolo I, che in dosi non appropriate causa effettivamente l’infarto miocardico. La tesi di Yallop, portata avanti senza prove concrete e con alcune discrepanze tra la sua narrazione e quello che effettivamente avvenne, non fu considerata credibile dalla maggior parte dei vaticanisti.
Le tesi di un intervento esterno che avesse “facilitato” il decesso apparvero come mere speculazioni dei soliti complottisti. Ma gli avvenimenti successivi, quali il ferimento di papa Giovanni Paolo II, il mistero del rapimento della giovane Emanuela Orlandi, il triplice omicidio/suicidio del comandante della guardia svizzera Alois Estermann, di Cedric Tornay e di Gladys Romero che avvenne all’interno delle mura leonine, rendono oggi un po’ più credibili le tesi di chi considera papa Giovanni Paolo I una vittima dei suoi propositi di rinnovamento delle finanze vaticane che avrebbero potuto portare allo scoperto centinaia di milioni di dollari depositati presso lo IOR in modo non appropriato.
(foto in alto: Papa Giovanni Paolo I, 1978)