Il Napoli dello scudetto del 1987

IL NAPOLI, MARADONA E DUE SCUDETTI

Copertina Napoli al tempo di ...

NAPOLI AL TEMPO DI …
di Silvano Napolitano
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La prima partita ufficiale di calcio fu giocata a Napoli nel 1896 da una compagine formata dai soci del Circolo Canottieri Italia contro i soci degli altri club nautici di Napoli. Si tenne su un campo sportivo rimediato al centro della pista dell’ippodromo che allora era situato a Campo di Marte (Capodichino).

La prima società calcistica fu fondata nel 1906 con il nome di Naples Foot Ball Club. Seguirono altre associazioni che ebbero più o meno fortuna. In quegli anni ancora non esisteva il campionato italiano e le partite erano sfide organizzate dai dirigenti delle varie squadre.

Nel 1911 si giocò il primo campionato gestito dalla nascente F.I.G.C. Le squadre del sud vennero ammesse dopo incontri di qualificazione. Dopo l’interruzione bellica il campionato riprese con le squadre campane che si scontrarono in un girone di qualificazione per assicurarsi un posto nel campionato nazionale. A Napoli si distinsero due formazioni: il Naples Foot Ball Club e l’Unione Sportiva Internazionale Napoli. Nel 1922 le due società si fusero in un unico club denominato FBC Internaples.

Presidenza Giorgio Ascarelli

Nel 1926 il presidente del FBC Internaples, Giorgio Ascarelli, industriale tessile di Napoli, volendo italianizzare la denominazione della squadra, mutò il nome dell’Internaples in Associazione Calcio Napoli. L’AC Napoli si qualificò e si iscrisse al suo primo campionato italiano del 1926/27, denominato Divisione Nazionale. Nella Divisione Nazionale erano presenti 8 squadre del nord (Juventus, Inter, Genoa, Casale, Pro Vercelli, Modena, Brescia e Verona), una squadra di Roma (Alba Audace) e la sola AC Napoli proveniente dal sud Italia. L’Alba Audace, retrocessa a fine campionato, si fuse con la Fortitudo Pro Roma creando l’A.S. Roma. Tra i calciatori di quel campionato vengono ricordati nella storia del Napoli Paulo Innocenti (capitano) e Attila Sallustro. Nella stagione successiva la squadra terminò all’ultimo posto del campionato. Non fu retrocessa poiché era l’unica del sud. Fu allora che, per ricordare le cattive prestazioni della squadra, venne sostituito il cavallino rampante con un asinello (ciuccio) sullo stemma del sodalizio.

Questa storia è tratta dal volume “NOVECENTO. Napoli e napoletani del XX secolo” di Silvano Napolitano. AMAZON.IT

Alla fine del campionato del 1928/29, nel quale il Napoli si salvò dalla retrocessione con l’ennesimo ripescaggio, il presidente Ascarelli decise di fare grossi investimenti per assicurare un futuro più decoroso alla squadra. Acquistò Antonio Vojak, giocatore di origine istriana, dalla Juventus e ingaggiò l’allenatore del Genoa William Garbut, vincitore di scudetto. Inoltre fece costruire un nuovo stadio, situato dove oggi ci sono i complessi di edilizia popolare Rione Luzzatti e Rione Ascarelli, denominato “Stadio Vesuvio” che fu la sede del Napoli fino al 1942. L’AC Napoli nel campionato seguente si qualificò al 5° posto.

Il presidente Giorgio Ascarelli morì, ancora giovane, nel 1930. Lo stadio Vesuvio fu intitolato a suo nome. Egli era stato anche tra i fondatori del Real Circolo Canottieri Italia con sede sulla banchina del porticciolo di Santa Lucia.  Negli ultimi anni aveva acquistato, con l’aiuto del Barone Rothschild, alcuni locali di Palazzo Sessa in via Cappella Vecchia, donandoli alla comunità ebraica di Napoli a cui apparteneva. Questi locali furono trasformati, dopo lavori di adeguamento, nella sinagoga della città.

Negli anni ‘30 la squadra veleggiò quasi sempre in alta classifica, sfiorando un paio di volte la vittoria dello scudetto. Dopo aver acquistato Enrico Colombari, chiamato “Banco ‘e Napule” per la colossale cifra pagata, circa 250.000 lire, l’AC Napoli conquistò due volte di seguito il secondo posto, acquisendo il diritto di partecipare per la prima volta alla Coppa Europa, dove fu estromessa già al primo turno dopo la sconfitta nell’incontro con l’Admira Wien.

Presidenza Achille Lauro e periodo bellico

Nel 1936 divenne presidente della squadra Achille Lauro, armatore di origine sorrentina. Aveva creato la Flotta Lauro, una delle più importanti flotte private italiane. Dopo la guerra si diede alla politica fondando il Partito Monarchico Italiano. Fu sindaco di Napoli con 300.000 preferenze e fu eletto deputato con 600.000 voti raccolti. Si dice che la sua fortuna politica fosse dovuta al fatto che prima delle elezioni regalasse alle famiglie dei rioni popolari paia di scarpe. Solo la scarpa destra veniva consegnata subito, l’altra, la sinistra, veniva consegnata dopo l’elezione del comandante Lauro. Era anche editore del quotidiano napoletano “Roma”, un giornale molto diffuso tra gli anni ‘50 e ‘60.

Il presidente, da buon imprenditore, si dedicò al risanamento del bilancio dell’associazione che presentava grosse perdite. Furono ceduti tutti gli assi della squadra, che comunque avevano fatto il loro tempo. Anche Attila Sallustro, portabandiera e capitano, fu ceduto alla Salernitana a causa del suo scarso rendimento.

Nel 1940 il Napoli rischiò di essere retrocessa, salvandosi nelle ultime partite. In seguito a questa debacle Achille Lauro si dimise da presidente cedendo la carica a Gaetano Del Pezzo.

Nei primi anni quaranta la squadra subì la sua prima retrocessione in serie B. Durante gli anni di guerra l’AC Napoli si divise in due società, ricongiungendosi di nuovo nel 1945 nella Polisportiva Napoli, che poi ridivenne AC Napoli. Dal 1942, a causa di danneggiamenti subiti durante il periodo bellico dallo stadio Partenope (ex Vesuvio, e poi Ascarelli), la squadra utilizzò il campo sportivo Albricci al Corso Malta e poi un campo sportivo che si trovava all’interno del Real Orto Botanico di Via Foria. Dal 1945 lo stadio del Vomero, che fu poi intitolato al giornalista Arturo Collana, fu la sede del Napoli.

Il primo campionato giocato allo stadio del Vomero segnò il ritorno della squadra alla ribalta nazionale. Il campionato 45/46 fu contraddistinto da due gironi. Il girone A comprendeva le squadre di serie A dell’Italia del nord mentre il girone B comprendeva le squadre di serie A e B dell’Italia del sud. Il Napoli si qualificò per il girone finale nel quale raggiunse il quinto posto. Nel 1948 la squadra fu nuovamente retrocessa in serie B. Solo nel 1950 il Napoli, allenato da Eraldo Monzeglio, riuscì a risalire nella massima serie. Nella stagione seguente arrivò a Napoli Amedeo Amadei, giocatore di Frascati, che aveva militato 10 anni nella Roma vincendo anche uno scudetto. Amadei, soprannominato “il fornaretto” per l’attività di famiglia che gestiva un forno per la produzione del pane, restò con il Napoli ben 10 anni, i primi sei come giocatore nel ruolo di centravanti e poi come allenatore.

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RACCONTI DA CAPRI
di Silvano Napolitano
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Seconda presidenza Achille Lauro

Nel 1952 Achille Lauro, diventato nuovamente presidente della squadra, acquistò Hasse Jeppson, un giocatore svedese che militava nell’Atalanta, alla fantomatica cifra di 105 milioni. Fu anch’egli soprannominato dai tifosi “Banco ‘e Napule”. In quell’anno ci fu anche l’arrivo dell’italo-argentino Bruno Pesaola, chiamato “Petisso” per la sua piccola corporatura. Pesaola restò al Napoli come giocatore fino al 1960, facendo coppia fissa con Jeppson. In seguito fu ingaggiato varie volte in qualità di allenatore.

Nel 1955 arrivò il brasiliano Luis Vinicio, “o’ Lione”, che entrò nell’attacco che già contava la presenza di Amadei, Jeppson e Pesaola. Tanti soldi spesi, con tanti campioni in squadra, non diedero i frutti sperati. La squadra veleggiò per vari campionati a centro classifica. Solo nella stagione 1957/58 riuscì a conquistare un quarto posto. Fu la penultima stagione a essere giocata nello stadio del Vomero. Il campionato del 1959/60 fu giocato nel nuovo stadio San Paolo di Fuorigrotta.

Nel campionato 1960/61 il Napoli ebbe una debacle nel girone di ritorno, perdendo in pratica tutte le partite e retrocedendo in serie B. L’ennesimo ritorno di Achille Lauro alla presidenza non ebbe immediata ripercussione nei risultati che la squadra collezionava nella serie cadetta, nonostante gli investimenti fatti dal “Comandante”. A metà campionato fu ingaggiato come allenatore l’ex calciatore Bruno Pesaola che, senza esperienza di allenatore di squadre di serie A (fino ad allora aveva allenato squadre dei campionati minori), portò il Napoli in alta classifica con un filotto di vittorie. Fu allora che nacque la leggenda del famoso cappotto di cammello del Petisso quale portafortuna. Nel ‘62 il Napoli riottenne la massima serie vincendo anche la Coppa Italia, unica squadra di serie B a riuscire nell’impresa.

Nel campionato seguente la compagine venne di nuovo retrocessa nella serie cadetta, a seguito di una serie di vicissitudini culminate con la squalifica di quattro giocatori per doping. In quella sfortunata stagione era stato ingaggiato il brasiliano Jarbas Faustinho soprannominato “Canè” ed erano stati inseriti in prima squadra Antonio Juliano e Vincenzo Montefusco, provenienti dalle giovanili del Napoli. Il sodalizio partenopeo restò per due stagioni in B risalendo in A alla fine del campionato 1964/65 con il ritorno dell’allenatore Bruno Pesaola.

Nel 1964 l’AC Napoli venne trasformata in Società Sportiva Calcio Napoli (Società per Azioni). La maggioranza delle azioni venne ceduta da Lauro a Roberto Fiore che divenne presidente, Lauro conservò una quota minoritaria ed ebbe la presidenza onoraria.

Presidenza Roberto Fiore

Roberto Fiore era figlio del noto poeta partenopeo Francesco Fiore, era originario di Portici ma visse lungamente nel rione Vasto. Lo sport, in particolare il calcio, era la sua passione. Dopo che ebbe lasciata la presidenza del Napoli divenne direttore sportivo della Lazio, poi presidente dell’Ischia Calcio e della Juve Stabia. Fu anche presidente del Circolo Nautico Posillipo.

Omar Sivori e José Altafini

Nel 1965, con la collaborazione di Lauro che era sempre presente nelle attività della Società, Fiore acquistò dalla Juventus e dal Milan due grandi campioni: l’argentino Omar Sivori e il brasiliano José Altafini.

Omar Sivori, soprannominato “el Cabezon” era nato nel 1935 a San Nicolas de los Arroyos. Aveva iniziato la sua carriera nel club argentino del River Plate. Notato dalla Juventus si trasferì in Italia nel 1956. Nella Juventus giocò insieme a John Charles e a Giampiero Boniperti, vincendo 3 scudetti e riuscendo a conquistare anche il titolo di capocannoniere nel campionato del ‘59/’60. Josè Altafini era nato nel 1938, si era distinto nei campionati mondiali di Svezia del 1958, che furono vinti dal Brasile. Egli giocava in quella nazionale insieme a un giovanissimo Pelè. Subito dopo i mondiali venne acquistato dal Milan dove vinse una Coppa dei Campioni e 2 scudetti.

Sivori e Altafini, collaborati da Antonio Juliano, Canè e dal resto della squadra allenata da Bruno Pesaola, portarono il Napoli ai vertici della classifica di serie A. Nel campionato 1965/66 il Napoli conquistò il terzo posto sfiorando la vittoria dello scudetto. Nel ‘66 vinse la Coppa delle Alpi. Nel 66/67 si qualificò al quarto posto partecipando anche alla Coppa delle Fiere (poi Coppa Uefa). La stagione successiva vide l’ingaggio del portiere della nazionale Dino Zoff.

La squadra partenopea, nella stagione 67/68, sfiorò di nuovo lo scudetto arrivando al secondo posto dietro al Milan. Nel campionato successivo, a causa di una rissa con l’allenatore della Juventus Heriberto Herrera, Omar Sivori fu squalificato per sei giornate. Dopo la squalifica Sivori decise di ritirarsi. La squadra finì il campionato veleggiando a centro classifica.

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I BONAPARTE. Una storia quasi italiana
di Silvano Napolitano
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Presidenza Corrado Ferlaino

L’ingegner Corrado Ferlaino apparteneva a una nota e benestante famiglia napoletana di origini calabresi. Era nato nel 1931 e in gioventù era stato uno spericolato sportivo. Si era distinto come pilota di auto e di motoscafi. Nel 1964 si classificò quinto con una Ferrari GTO nella Targa Florio. Ferlaino era desideroso di entrare nella dirigenza sportiva, da affiancare alla sua attività di imprenditore immobiliare.

Nel 1969 la vedova dell’ex presidente del Napoli Antonio Corcione decise di cedere la sua quota del 30 per cento della società sportiva. Una cordata di imprenditori napoletani, tra cui Corrado Ferlaino, decise di fare una proposta di acquisto. Questi si diedero appuntamento sotto il palazzo in via Posillipo dove abitava la vedova. Tre di loro salirono con l’intenzione di trattare l’acquisto della partecipazione della signora Corcione. Corrado Ferlaino, furbissimo, dicendo di preferire le scale all’ascensore, salì precipitosamente anticipando l’ascensore. Si fiondò in casa Corcione offrendo alla vedova un assegno di 31 milioni di lire, come anticipo sull’acquisto delle azioni, che era disposto a pagare 110 milioni. La proposta fu accettata immediatamente. Un’altra versione racconta che Ferlaino, giunto a casa della signora insieme a due soci della cordata, chiuse di soppiatto a chiave i due nel salotto per poter avere il tempo di contrattare per conto proprio. Una volta concluso l’affare i suoi amici, che aspettavano notizie in strada, chiesero: “Allora, abbiamo comprato?”. Ferlaino, sornione, rispose: “Ho comprato!”. Giorni dopo acquisterà anche la quota del 21 per cento di Roberto Fiore, conquistando la maggioranza assoluta e mettendo fuori gioco Achille Lauro, proprietario delle restanti quote della SSC Napoli.

Il primo campionato sotto la presidenza Ferlaino fu contraddistinto dalla vendita di tutti i campioni in forza alla squadra, per la verità tutti un po’ in là negli anni, per fare cassa ed estinguere i debiti che la società aveva al momento della sua acquisizione, circa un miliardo di lire. Risanato il bilancio e acquistato giocatori poco noti, ma con buoni piedi, riuscì a far qualificare la squadra al sesto posto in classifica con il contributo determinante dell’allenatore Beppe Chiappella.

Nel 1970 Ferlaino acquistò Angelo Sormani che, insieme ad Altafini nella sua penultima stagione con il Napoli, riuscì a far qualificare la squadra al terzo posto in classifica. Lo scudetto fu perso a causa di un arbitraggio a San Siro, nella partita con l’Inter, che apparve favorevole alla squadra di casa. L’Inter poté beneficiare anche di un rigore inesistente negli ultimi minuti di gara. La squadra milanese fu la vincitrice del campionato.

Nel 1973 fu ingaggiato come allenatore Luis Vinicio. Vinicio aveva idee nuove sul gioco del calcio di quei tempi. Fu il precursore del calcio totale, nel quale tutti i giocatori erano impegnati sia in attacco che in difesa con ruoli ben specificati. Veniva superata la teoria che dovesse giocare solo mezza squadra per volta: il centrocampo e l’attacco nella fase offensiva, la mediana e la difesa nella fase difensiva. In pratica, prima che anche le altre squadre cominciassero ad adottare anche loro la stessa filosofia, il Napoli, praticando il calcio totale, poteva disporre di una costante superiorità numerica.

L’acquisto di Sergio Clerici e l’utilizzo di giovani di talento come Braglia e Bruscolotti fecero in modo che già nel primo campionato con mister Vinicio si raccogliessero ottimi risultati. Nel campionato 1973/74 il Napoli fu terzo alle spalle dell’Inter e della Lazio, che vinse lo scudetto con il contributo fondamentale dei “napoletani” Giuseppe Wilson e Giorgio Chinaglia, provenienti dall’ “Internapoli”, la seconda squadra cittadina. Il campionato successivo vide una predominanza della squadra partenopea fin dall’inizio. Una inaspettata sconfitta per 6 a 2 contro la Juventus, dovuta alla stanchezza accumulata nell’incontro infrasettimanale di Coppa Uefa con il Banik Ostrava, chiuso con la eliminazione da quella competizione, compromise il primo posto in classifica. Un buon recupero negli incontri successivi portò il Napoli a due punti di distacco dalla Juventus, prima in classifica. Nello scontro diretto con la torinese il Napoli pareggiava 1 a 1 fino a 2 minuti dalla fine. Un gol dell’ex José Altafini condannò definitivamente il Napoli che chiuse il campionato al secondo posto con due punti di distacco. Da allora Altafini fu “Core ‘ngrato” per i tifosi napoletani.

Seguirono alcuni campionati dove il team galleggiò nei piani alti della classifica senza comunque eccellere, nonostante l’acquisto di mister “due miliardi”, la cifra pagata per acquistare dal Bologna Beppe Savoldi. Una Coppa Italia e una Coppa Italo-Inglese furono il magro risultato di tanti investimenti. Nella stagione 80/81 ci fu l’acquisto del campione olandese Ruud Krol. Il Napoli, con il mister Rino Marchesi, riuscì a mantenere la testa della classifica a pari punti con la Juventus. Una serie sfortunata di autogol compromise il risultato di due gare decisive contro il Perugia e la stessa Juve. Il campionato si chiuse con un deludente terzo posto.

Diego Armando Maradona

Nell’estate del 1984 il Napoli organizzò un’amichevole con il Barcellona. L’accordo fu fatto ma la società catalana informò il Napoli che Maradona, il suo giocatore più rappresentativo, non poteva essere della partita perché infortunato. Ferlaino seppe da altre fonti che non era l’infortunio a impedire a Maradona di giocare ma contrasti con la società. Pierpaolo Marino, D.S. dell’Avellino, nel frattempo ebbe una soffiata dall’entourage di Maradona, il quale cercava una sistemazione in una squadra italiana. Marino, amico di Ferlaino, riferì la cosa al presidente del Napoli. Alcuni giorni prima Ferlaino, incontrando un dirigente della federazione che gli chiedeva che cosa aveva intenzione di fare per migliorare il rendimento della squadra, visto che poco era mancato all’ennesima retrocessione in B nel campionato appena concluso, rispose scherzando: “compro Maradona”.

Il presidente decise di fare il grande passo, per rompere quell’andazzo mediocre che perseguitava il Napoli ormai da tante stagioni. Iniziò colloqui con i dirigenti del Barcellona. Il prezzo del campione lievitava a ogni incontro tra il presidente del Napoli e quello del Barcellona. Si parlava di circa 13 miliardi di lire che naturalmente Ferlaino non aveva e quindi non era in grado di pagare. La trattativa si trascinò stancamente durante tutto il mese di giugno. L’imprenditore napoletano aveva preso contatti, attraverso il sindaco Scotti, con qualche politico di peso che era intervenuto presso il prof. Ventriglia, presidente del Banco di Napoli, affinché l’istituto mettesse a disposizione della SSC Napoli una linea di credito per permettere, eventualmente, di far fronte alle richieste del Barcellona. Il pomeriggio del 30 giugno, ultimo giorno utile del calciomercato, si rifece vivo telefonicamente il Barcellona con la volontà di chiudere l’affare. Ma ormai era troppo tardi poiché bisognava depositare il contratto entro l’orario di chiusura degli uffici milanesi della Lega Calcio.

Nel pomeriggio di sabato 30 giugno Ferlaino, con un aereo privato, andò a Milano e depositò una busta sigillata, piena di fogli bianchi, presso la Lega, al momento della chiusura degli uffici. Poi con lo stesso aereo andò a Barcellona. Nella notte fece l’accordo con il Barcellona e con Maradona per una somma di 15 miliardi di lire. Con il solito aereo privato ritornò a Milano, convincendo la guardia notturna a farlo entrare nell’ufficio dove aveva depositato la busta, dicendo di aver dimenticato sulla scrivania del funzionario un importante documento che doveva assolutamente recuperare. Sarà stata questa scusa a convincere la guardia giurata o altro (tifoso del Napoli?) sta di fatto che Ferlaino sostituì la busta piena di cartacce con quella contenente il contratto del calciatore. Anni dopo Ferlaino racconterà che, se anche la lega fosse venuta a conoscenza dell’accaduto, sarebbe convenuto a tutti fingere di credere nella regolarità della procedura, perché un Maradona in Italia era una cosa che portava un grande beneficio a tutto il calcio italiano. Il 5 luglio Maradona fu presentato in uno stadio San Paolo gremito ed entusiasta. I napoletani, grandi esperti di calcio, sapevano apprezzare i veri campioni, e Maradona era “meglio ‘e Pelè”.

Il primo campionato con Maradona finì con il Napoli a centro classifica, dopo un primo girone sotto tono e un secondo con un grande recupero di posizioni. Nell’estate del 1985 vennero acquistati Bruno Giordano e Salvatore Renica, fu pescato dalle giovanili Ciro Ferrara, e la panchina fu affidata a Ottavio Bianchi, con Italo Allodi direttore sportivo. Il campionato 85/86, il secondo con Maradona in squadra, finì con un onorevole terzo posto alle spalle delle solite Juventus e Roma.

I due scudetti

Nella stagione seguente, 1986/87, la squadra fu completata con l’acquisto di Andrea Carnevale. Fu l’anno giusto. Maradona era in una forma smagliante a seguito della conquista del titolo mondiale della nazionale argentina da lui condotta alla vittoria. Già dalla ottava giornata il Napoli si piazzò al primo posto in classifica con una vittoria contro la sua diretta avversaria, la Juve. Un primo posto che non mollò fino alla fine. Maradona segnò dieci reti tutte decisive. Il Napoli per la prima volta vinse lo scudetto. Lo conquistò con una giornata di anticipo, con il pareggio in casa 1 a 1 contro la Fiorentina, gol di Andrea Carnevale, dando quattro punti di distacco alle inseguitrici. Fu festa grande per le strade di Napoli, un pomeriggio e una notte con tutti i napoletani in strada a festeggiare. La squadra raggiunse anche la vittoria in Coppa Italia. La formazione tipo dello scudetto fu: Claudio Garella (portiere), Giuseppe Bruscolotti, Ciro Ferrara, Salvatore Renica, Moreno Ferrario (difensori), Fernando De Napoli, Francesco Romano, Salvatore Bagni (centrocampisti), Bruno Giordano, Diego Armando Maradona, Andrea Carnevale (attaccanti).

Nella stagione successiva arrivò il brasiliano Careca che rinforzò notevolmente l’attacco. Il girone di andata vide il predominio incontrastato del Napoli. Prima delle ultime cinque partite di campionato la squadra partenopea, in testa alla classifica, presentava sei punti di vantaggio nei confronti delle inseguitrici. Nonostante il vantaggio il Napoli perse quattro partite di seguito pareggiandone una, permettendo al Milan di Sacchi e Berlusconi di superarlo e vincere il campionato. Roventi polemiche e atroci sospetti contraddistinsero la conclusione della stagione. Non fu chiaro cosa fosse successo: un improvviso calo fisico con crollo psicologico, una ritorsione dei calciatori nei confronti dell’allenatore per la sua durezza negli allenamenti o altro. Quella estate fu contrassegnata dalla cessione punitiva di mezza squadra. Furono venduti Garella, Ferrario, Bagni, Giordano.

Il campionato 1988/89 iniziò con l’arrivo del brasiliano Alemao e con direttore sportivo Luciano Moggi. Il campionato fu subito di pertinenza dell’Inter nonostante che il Napoli si comportasse più che degnamente vincendo contro quasi tutte le grandi. Non fu anno di scudetto ma di Coppa Uefa. Il Napoli incontrò e sconfisse il Salonicco, il Lipsia e il Bordeaux. Fu poi la volta della Juventus che incontrò i partenopei nei quarti di finale, dove fu eliminata con una sonora sconfitta che rimediò al San Paolo. La semifinale fu giocata contro il Bayern di Monaco che i partenopei incontrarono a Napoli vincendo per 2 a 0. Il ritorno fu deciso da una doppietta di Careca che portò gli azzurri a chiudere la partita in pareggio. La finale di Coppa Uefa fu giocata contro lo Stoccarda. La gara d’andata fu al San Paolo dove il Napoli vinse 2 a 1 con reti di Maradona e Careca. Il gol dello Stoccarda fu segnato dal tedesco-napoletano Maurizio Gaudino. La gara di ritorno riempì Stoccarda di napoletani. La partita finì in pareggio 3 a 3. Segnarono per il Napoli Maradona, Careca e Alemao. Fu la prima coppa internazionale di un certo prestigio vinta dalla squadra partenopea.

L’assenza di Maradona contrassegnò l’inizio del campionato successivo. Diego non era rientrato dall’Argentina, ufficialmente per motivi di salute, ma sembra perché desiderasse essere ceduto. Ottavio Bianchi era stato sostituito da Albertino Bigon. Era stato ingaggiato Gianfranco Zola per rinforzare il controcampo. Nonostante l’assenza di Maradona nelle prime cinque partite, il Napoli giocò il girone di andata facendo quasi il pieno dei punti disponibili. Il girone di ritorno fu più sofferto. La compagine partenopea perse a San Siro contro le due milanesi lasciando il primato in classifica. Ma poco a poco riuscì a recuperare. Alla quattordicesima giornata di ritorno, sul campo dell’Atalanta, Alemao fu colpito alla testa da una monetina lanciata dagli spalti e dovette uscire dal campo di gioco. Il pareggio di 0 a 0 fu trasformato dal giudice sportivo in vittoria del Napoli per 2 a 0 a causa dell’incidente occorso ad Alemao. Il Milan pareggiò con il Bologna perdendo il primo posto in classifica. Nelle tre gare successive la squadra partenopea consolidò il suo primo posto vincendo per la seconda volta il campionato. La formazione base della vittoria fu: Giuliano Giuliani (portiere), Giancarlo Corradini, Ciro Ferrara, Marco Baroni, Giovanni Francini (difensori), Luca Fusi, Alemao (centrocampisti), Fernando De Napoli, Massimo Crippa, Andrea Carnevale e Diego Armando Maradona (attaccanti).

La stagione successiva portò la conquista della Supercoppa con una vittoria contro la Juve 5 a 1. Poi la squadra si perse per strada anche a causa dei problemi della società con Maradona, che a fine anno lasciò Napoli per il Siviglia. Fu esclusa al primo turno dalla Coppa dei Campioni e finì il campionato al settimo posto.

Le stagioni successive furono caratterizzate da una sempre più profonda crisi della squadra che comunque conquistò l’ennesimo terzo posto nel campionato 1991/92. Nel 1993 Ferlaino coinvolto in vicende giudiziarie lasciò la presidenza della società a Elenio Gallo. La squadra partecipò ai campionati successivi avendo posizioni di metà classifica. Nel 1998 fu retrocessa in serie B, per tornare in A due anni dopo. Fu un canto del cigno poiché subito ricadde nella serie cadetta, dove restò fino al 2004, quando fu dichiarato il fallimento della società con l’automatica retrocessione in serie C1. La storia odierna ci racconta dell’intervento di Aurelio De Laurentiis che rilevò il titolo sportivo dal tribunale fallimentare e fu artefice della rinascita della squadra partenopea.

(Foto in alto: Il Napoli dello scudetto del 1987)