Naufragio Meduse

IL NAUFRAGIO DELLA “MÉDUSE”

Era il giugno del 1816. Nel porto di Rochefort in Francia si trovava, pronta a salpare, la fregata Méduse. Insieme ad altre tre navi, il Loire, l’Argus e l’Écho, doveva raggiungere il porto di Saint-Louis nel Senegal con un carico di merci e passeggeri. Il capitano della Méduse era Hugues Duroy de Chaumareys, un militare il cui unico merito era quello di essere stato un realista borbonico. Il suo ultimo comando di una nave risaliva a 24 anni prima. Sulla Méduse furono imbarcati 240 passeggeri. Oltre all’equipaggio, formato da 174 uomini, c’erano funzionari, militari e tecnici che dovevano raggiungere il Senegal, colonia che l’Inghilterra aveva restituito alla Francia in base agli accordi del Congresso di Vienna dopo la sconfitta definitiva di Napoleone, ormai un recluso sull’isola di Sant’Elena. A bordo si trovava anche il nuovo governatore della colonia Julien-Désiré Schmaltz accompagnato dalla moglie.

IL VIAGGIO DELLA MÉDUSE

Il 17 giugno del 1816 le tre navi presero il largo. Poco dopo, a causa delle diverse velocità a cui procedevano, si persero di vista. Il capitano della Méduse, per dimostrare capacità di navigazione che non possedeva e profittando delle qualità della sua fregata, prese vantaggio sulle altre due navi procedendo veloce verso la meta.

La fregata, viaggiando sotto costa, giunse in vista di Cap Blanc, una penisola che segna il confine tra la Mauritania e il Sahara Occidentale. Cap Blanc aveva anche la funzione di segnalare ai navigatori l’avvicinarsi di un banco di sabbia e roccia affiorante al largo della costa, un grande pericolo per le navi che attraversavano quel tratto di mare. A quel punto il capitano doveva dare ordine di virare puntando verso la costa o al contrario prendere il largo in modo da evitare il banco di sabbia. Sfortunatamente l’inesperienza del capitano della Méduse impedì il riconoscimento di Cap Blanc, così che la fregata puntò diritta verso il famigerato banco sabbioso di Arguin, 84 miglia marine al largo della costa della Mauritania.

IL NAUFRAGIO

Il primo pomeriggio del 2 luglio la fregata Méduse andò a insabbiarsi sul basso fondale di Arguin. La nave si inclinò su un lato appoggiandosi sul banco di sabbia. Il capitano tentò in tutti i modi di disincagliarla con l’aiuto delle sei scialuppe in dotazione della stessa. Il tentativo non riuscì. Sebbene non ci fosse un pericolo immediato di affondamento, non rimaneva che abbandonare la nave arenata per tentare di raggiungere la costa della Mauritania, altra colonia francese, distante 160 chilometri. Sorse immediato un problema. Le sei scialuppe avrebbero potuto imbarcare solo una parte delle persone a bordo. Con gli alberi della fregata si allestì quindi una zattera di fortuna di 20 metri di lunghezza e sette metri di larghezza.

LA ZATTERA DELLA MÉDUSE

Il giorno 5 di luglio la Méduse fu abbandonata ad eccezione di 17 naufraghi che preferirono rimanere a bordo del relitto in attesa dei soccorsi. Sulle sei scialuppe presero posto 247 tra marinai e passeggeri mentre sulla zattera si imbarcarono 149 uomini e 1 donna. Era previsto che quattro delle scialuppe avrebbero trainato la zattera a mezzo di cime. Dopo poche ore, a causa del mare mosso e dell’inclinazione anomala della zattera, le cime furono mollate e i 150 che si trovavano sull’imbarcazione di fortuna furono lasciati al loro destino. Iniziò un triste peregrinare senza alcuna possibilità di guidare verso la costa quell’imbarcazione di fortuna. Subito fu necessario liberarsi di alcuni barili con dei viveri per bilanciare la zattera che si era inclinata pericolosamente su un lato. Altri barili di acqua e viveri andarono persi in mare. A bordo della zattera successe di tutto. Scoppiarono risse, si ebbero suicidi, omicidi, alcuni si buttarono in acqua presi dalla disperazione, altri venivano spinti fuori bordo per far spazio. Dopo pochi giorni la fame e la sete tormentavano i superstiti. Alcuni di loro iniziarono a cibarsi con i cadaveri dei compagni morti. Altri mangiavano il cuoio delle fodere delle spade e delle loro scarpe. Quelli che sulle prime avevano abborrito il mangiare di carne umana, presi dalla disperazione provarono a mischiare la carne dei deceduti con altri intrugli per non sentirne il sapore. Dopo che l’acqua fu terminata, essendo a bordo un barile di vino, si dissetarono con quello. Finito il vino presero a bere la loro urina.

IL SALVATAGGIO DEI NAUFRAGHI SUPERSTITI.

Il 17 luglio, dopo tredici giorni alla deriva, furono avvistati dalla nave Argus che si era messa alla loro ricerca. Sulla zattera furono trovati vivi solo in quindici. Cinque di questi naufraghi morirono la notte successiva al salvataggio per gli stenti sofferti.

Nel frattempo le scialuppe erano riuscite a raggiungere la costa e i superstiti furono soccorsi e trasportati a Saint-Louis.

Il 26 agosto il relitto semiaffondato della Méduse fu raggiunto dalla Argus. A bordo erano rimasti in vita tre superstiti. Complessivamente quelli che riuscirono a salvarsi dal naufragio furono solo in 65 degli oltre 400 imbarcati sulla Méduse.

Varie spedizioni raggiunsero in seguito il relitto della Méduse trovandola quasi intatta, in grado, se disincagliata, di riprendere la navigazione. Questo suscitò altri dubbi sul comportamento del capitano. Sarebbe stato meglio che i naufraghi che non avevano trovato posto sulle scialuppe fossero rimasti a bordo della Méduse che, anche se inclinata, sarebbe stata in grado di ospitarli fino all’arrivo dei soccorsi.

Furono solo 53 i naufraghi che furono in grado di far ritorno in Francia. Raggiunsero il porto di Brest a bordo della corvetta Écho.

Il naufragio ebbe una vasta eco. In Francia si ebbe un’accesa polemica. I giornali riportarono la vicenda arricchendola dei particolari relativi ai casi di cannibalismo che si erano verificati sulla zattera. La Méduse divenne il simbolo della Francia sconfitta. Il 13 settembre il Journal des débats che si opponeva al ritorno dei Borbone pubblicò il resoconto del naufragio mettendo in evidenza le discriminazioni sofferte dai marinai e dai passeggeri più umili, costretti a imbarcarsi su una precaria zattera. Il capitano, gli ufficiali e i passeggeri di più alto rango avevano invece trovato posto sulle più sicure scialuppe. Il comandante della nave fu messo sotto accusa. Il processo a carico Hugues Duroy de Chaumareys si concluse con una lieve condanna a tre anni di prigione e alla cancellazione dall’albo dei capitani di nave. In casi simili era prevista anche la condanna a morte per il capitano che non avesse abbandonato la nave per ultimo.

IL LIBRO E IL QUADRO

Nel 1817 due dei sopravvissuti della zattera della Méduse, il medico J.B. Henri Savigny e l’ingegnere geografo Alexandre Corréad scrissero il libro “Naufrage de la Frégate la Méduse”, spinti a questo da alcuni editori parigini che avevano intenzione di sfruttare il clamore che il naufragio aveva suscitato nella pubblica opinione. Il libro riportava le drammatiche vicende che gli autori avevano vissuto in prima persona nonché un disegno, eseguito da Corréad, della zattera su cui i due si erano salvati.

Nel 1819 il giovane pittore Théodore Géricault completò un grande dipinto su tela (491 x 713 cm), oggi esposto al Louvre, che rappresentava la zattera della Méduse. Il dipinto coglie la scena nel momento in cui i naufraghi scorgono la nave che viene in loro soccorso. Il quadro fu preceduto da una serie di disegni preparatori nei quali il pittore cercò di rendere, con l’ieraticità delle varie figure che poi furono riportate sulla tela, il dramma vissuto sulla zattera. Fu il primo dipinto che superava il neoclassicismo imperante fino a quel momento per inaugurare la visione romantica della pittura francese. Esposto al Salon de Paris suscitò critiche positive e feroci stroncature dovute all’innovativa rappresentazione teatrale della realtà e alla drammaticità di cui era intrisa la tela.