Concessione italiana a Tientsin

LA LEGIONE REDENTA

Nel 1915, allo scoppio della prima guerra mondiale, l’impero Austro-Ungarico aveva arruolato nell’esercito migliaia di italiani appartenenti all’Istria, alla Dalmazia, a Trieste e al Trentino, quindi a territori sotto la sovranità austriaca. Questi soldati furono inviati a combattere sul fronte russo, poiché i generali austriaci non si fidavano a impiegarli nella guerra combattuta contro l’Italia. Furono circa 25.000 i combattenti italiani che in quell’occasione furono fatti prigionieri dai russi. Molti di questi prigionieri si dichiararono di etnia italiana, ritenendo che questo li avrebbe favoriti nella prigionia. Le nostre autorità furono informate dai russi di questi prigionieri. Iniziarono quindi trattative tra lo stato italiano e le autorità di quel paese per consentire il ritorno di questi soldati nativi delle terre irredente.

LA MISSIONE DEL MAGGIORE DEI CARABINIERI MARCO COSMA MANERA

C’era un ufficiale tra i carabinieri, Marco Cosma Manera, che era particolarmente dotato per le lingue straniere. Già era stato incaricato, quando era tenente di fanteria, di seguire le vicende della guerra greco-turca con lusinghieri risultati. Inoltre era stato interessato alla creazione del corpo di gendarmeria della Macedonia. Gli fu quindi affidato il compito di individuare questi italiani prigionieri in Russia, prendere accordi con le autorità russe per il loro rilascio e organizzare il rientro in Italia. Nel 1916 partì via mare per raggiungere San Pietroburgo. 

Dopo aver contattato le autorità Cosma Manera giunse nelle vicinanze di Arcangelo, città dell’estremo nord della Russia, affacciata sul mar Bianco, dove trovò circa 4000 prigionieri italiani. Ne rimpatriò una buona parte imbarcandoli su un piroscafo inglese. Proseguì per Mosca trovando altri 2700 soldati in un campo di concentramento nei pressi della città di Kirsanov, 500 chilometri a sud della capitale russa. Una parte di questi soldati fu trasportato da un convoglio ferroviario ad Arcangelo. Essi si imbarcarono nel successivo viaggio del medesimo piroscafo inglese, noleggiato per la bisogna dalle autorità italiane. Seguì un terzo imbarco su una nave francese. Furono 4000 i soldati italiani rimpatriati attraverso la rotta artica. Tra gli italiani si erano confusi numerosi sloveni e croati non italiani che furono comunque accolti tra quelli da rimpatriare.  

LA CONCESSIONE ITALIANA DI TIENTSIN

Nell’ottobre del 1917 scoppiò la rivoluzione bolscevica. I porti di Arcangelo e Murmarsk furono chiusi o divennero inagibili a causa del ghiaccio. Gli altri ex prigionieri, che ancora si trovavano a Kirsanov, furono costretti a dirigersi verso Vladivostock, affacciata sull’oceano Pacifico, per poi raggiungere, via mare, l’Italia. Questi uomini, guidati da Cosmo Manera, furono fatti salire sui treni della Transiberiana, la mitica ferrovia che collegava Mosca con Vladivostock. La lunghissima linea ferroviaria era stata completata, con la costruzione del ponte sull’Amur, l’anno precedente, il 1916.  

Il viaggio fu avventuroso poiché lungo la linea della Transiberiana si annidavano numerose bande di Bolscevichi che non esitavano ad attaccare i treni in transito per impadronirsene. I treni, con la lunghissima Transiberiana, erano l’unico mezzo attraverso il quale gli spostamenti erano possibili in tempi relativamente brevi nelle lande desolate della Siberia. Giunti a Vladivostock, non trovando alcuna nave diretta in Italia gli ex prigionieri si diressero verso Tientsin, in Cina. In quella città, distante pochi chilometri da Pechino, c’era la concessione italiana, un pezzo di suolo patrio dislocato nella lontana Cina. Cosmo Manera e i suoi uomini attraversarono la Manciuria, raggiungendo Tientsin dove furono accolti dalle autorità italiane della città. 

A Tientsin erano presenti numerose concessioni straniere, per la gran parte appartenenti a paesi europei. Ogni concessione aveva a disposizione un piccolo territorio all’interno della città, che godeva dell’extraterritorialità e nel quale erano vigenti le leggi del paese ospitato. La sconfitta della Cina nella guerra dei Boxer contro le legazioni internazionali a Pechino nel 1901 aveva aumentato enormemente il potere delle concessioni straniere, che erano libere di intraprendere ogni iniziativa, anche militare, senza dover dar conto alle autorità cinesi.

IL BATTAGLIONE SAVOIA E LA LEGIONE REDENTA 

Un piccolo gruppo di prigionieri, circa 300 uomini, si era fermato a Samara, a ridosso dei monti Urali. In quella remota città abitava un napoletano, Angelo (o Andrea) Compatangelo. Il napoletano, che si dichiarava commerciante, non si sa cosa ci facesse in quel luogo sperduto nella steppa. Forse operava in qualità di agente dei servizi segreti italiani. Comunque si mise alla testa di quel gruppo organizzando il “Battaglione Savoia” o “Battaglione Rosso”, dal colore delle mostrine dei soldati, di cui lui si autonominò capitano. Si appoggiò, per l’organizzazione del battaglione alla legione cecoslovacca di stanza a Samara, schierata con gli antirivoluzionari “russi bianchi”.  

Compatangelo, impadronitosi di un treno, trasportò il suo battaglione verso est, attraverso la Siberia. Dopo varie traversie il battaglione giunse a Krasnojarsk. Compatangelo, forte di quel gruppo di soldati che lui aveva ben addestrato e affiatato, si proclamò dittatore di quella parte della Siberia e della città. Presto il capitano si rese conto che la città era una trappola, circondata come era dalle forze bolsceviche. Si rimise in viaggio con i suoi uomini arrivando a Vladivostock, da dove via mare raggiunse la concessione italiana di Tientsin. Portato in salvo il suo battaglione, Compatangelo uscì di scena, scomparendo così come era apparso.

Quando tutti gli ex prigionieri furono giunti a Tientsin, il maggiore Cosma Manera li organizzò in un’unità dell’esercito italiano. I reduci furono tutti regolarmente arruolati. L’unità prese il nome di “Battaglione degli Irredenti”. Dall’Italia intanto era arrivato via mare un corpo di spedizione, il C.S.I.E.O. (Corpo di Spedizione Italiano in Estremo Oriente), comandato dal colonnello Edoardo Fassini-Camossi, che doveva partecipare insieme alle forze alleate ad azioni contro i bolscevichi. Circa 850 “irredenti” si offrirono volontari nel corpo di spedizione formando la “Legione Redenta”. I restanti furono utilizzati all’interno della concessione con compiti di sorveglianza.   

IL RIENTRO IN ITALIA 

IL C.S.I.E.O. si trasferì a Vladivostock al comando del colonnello Fassini Camossi. Da Vladivostock la colonna militare italiana si spostò a Krasnojarsk per combattere le bande bolsceviche che spadroneggiavano nella zona. Nel 1919, visto il consolidarsi del regime bolscevico a Mosca che allontanava la possibilità di una restaurazione del governo zarista, si decise il rientro in patria del corpo di spedizione.  

Il ritorno dei militari avvenne utilizzando nuovamente la Transiberiana per raggiungere Vladivostock per poi dirigersi verso Tientsin. Nel frattempo era scoppiata un’epidemia di colera in Cina e bisognò osservare la quarantena. I militari si imbarcarono a scaglioni per l’Italia. L’ultimo viaggio di rientro si concluse il 2 aprile del 1920 nel porto di Napoli. Furono fatti sbarcare su una banchina decentrata dove nessuno stava ad attenderli. Da un documento di un comitato di assistenza di Fort Dix, negli Stati Uniti, risulta che 300 irredenti italiani, prigionieri dei russi, tornarono in Italia attraverso gli Stati Uniti, dove furono accolti e soccorsi dal citato comitato d’assistenza e fatti imbarcare nel porto di New York su navi dirette a Napoli.   

In conclusione furono circa 10.000 i soldati italiani di origine dalmata, istriana, triestina e trentina, arruolati nell’esercito austriaco e fatti prigionieri dai russi, che raggiunsero il suolo italiano per merito del colonnello Cosma Manera.

(Foto in alto: Concessione Italiana di Tientsin)