Louise Colet

MADAME BOVARY A NAPOLI

Louise Révoil de Servannes nacque ad Aix-en-Provence il 15 settembre del 1810. Il padre Antoine era direttore delle Poste. Antoine Révoil in gioventù aveva vissuto alcuni anni a Napoli. Sposato a Henriette Leblanc, aveva avuto sette figli, dei quali l’ultimogenita fu Louise. Dopo la sua morte prematura la moglie, con i figli, si trasferì a Mouriès dove la sua famiglia possedeva un castello.

Nel castello di Mouriès Louise conobbe il musicista Hippolite-Raymond Colet. Questo noto musicista era un membro riconosciuto del mondo artistico e letterario a cui lei, aspirante scrittrice, desiderava essere introdotta. Louise, che aveva 24 anni, aveva perso da pochi mesi la madre. Contro il volere dei suoi fratelli sposò Colet. Poco dopo i due sposi si trasferirono a Parigi.

Nella capitale Madame Colet frequentò gli ambienti del Salon Littéraire dove conobbe il filosofo Victor Cousin. Diventata amante del Cousin riuscì, grazie alla sua raccomandazione, a lavorare come giornalista per varie testate parigine. La sua prima opera letteraria fu il libro di poesie “Fleurs du Midi” pubblicato nel 1836, che non ebbe il successo che lei aveva sperato. Nel 1839 partecipò a un concorso, indetto dall’Académie Française, con “Le musée de Versailles”. Con sua grande sorpresa conquistò un premio vincendo la somma di mille franchi.

Nel 1840 Louise ebbe una figlia, Henriette. Il marito si rifiutò di riconoscerla a causa di un pamphlet del giornalista Alphonse Karr che rivelava la relazione segreta tra Louise e Victor Cousin. Anche Cousin rifiutò di riconoscere Henriette come propria figlia. La scrittrice invitò a casa sua il giornalista Karr per un chiarimento. Avutolo di fronte lo aggredì armata di un coltello da cucina ferendolo lievemente alla spalla. Fortunatamente Alphonse Karr rinunciò a denunciarla all’autorità giudiziaria. Forse impaurito dalla reazione che Louise aveva avuto nei confronti di Karr, Cousin decise di accollarsi il mantenimento della piccola Henriette, riconoscendone indirettamente la paternità.

La nascita della bambina contribuì alla definitiva rottura del matrimonio tra Louise e Hyppolite Colet. La scrittrice si sentì libera di diventare l’amante di Victor Hugo. Questo legame le permise di ricevere affermati letterati e scrittori alle prime armi nel salotto della sua nuova abitazione in Rue de Sevres. Conobbe Gustave Flaubert, Alfred de Musset e Alfred de Vigny. Questo fu un periodo fecondo per la sua scrittura. Videro la luce “Charlotte Corday et Madame Roland” e “Le monument de Molière”, due delle sue opere più significative, e poi “Les funérailles de Napoléon”, seguito da “La jeunesse de Miraneau”.

MUSA DI FLAUBERT

Nel 1846 Louise divenne l’amante di Gustave Flaubert. La relazione durò, con alti e bassi, un paio d’anni. Poi Flaubert, stanco di quel rapporto, intraprese un viaggio che lo portò per diversi mesi lontano dalla Francia. Visitò i paesi del Mediterraneo: Egitto, Palestina, Siria, Turchia, Grecia e Italia. Al suo rientro in Francia scelse di tornare nella sua villa di famiglia a Croisset, nei pressi di Rouen, nella Francia settentrionale.

Nel frattempo la scrittrice coltivava altre affettuose amicizie, nonostante che il giovane e bellissimo Flaubert fosse la sua prima scelta d’amore. Ebbe una relazione con Alfred de Mussett, molto amico di Gustave, e con Alfred de Vigny. Era stato lo stesso scrittore normanno a spingerla tra le braccia di de Mussett, prima del suo lungo viaggio, per liberarsi di quella donna con il suo amore troppo appiccicoso e oppressivo. Flaubert amava la malinconica solitudine. Era un uomo della Normandia in tutto e per tutto, con una reticenza nei rapporti interpersonali tipica del nord.     

Nel 1851 Louise Colet decise di raggiungere il suo amato. Il 26 giugno si presentò alla porta della villa di Croisset dove una cameriera l’accolse. Lo scrittore si rifiutò di riceverla poi, con molta indifferenza, si presentò alla porta fingendo di non conoscerla. Dopo poche parole, di fronte alla fulgida bellezza di Louise, si sciolse. Le diede appuntamento presso l’albergo di Rouen dove lei alloggiava. Dopo averlo ricevuto nella sua camera, la Colet, undici anni più anziana del giova­ne scrittore, ripartì per Parigi, sicura di averlo riconquistato. Dopo pochi giorni ricevette una lettera da Gustave e riprese l’antico amore.

La relazione con Flaubert procedeva di pari passo con la scrittura di Madame Bovary. Nella scandalosa Bovary lo scrittore trasferiva le sensazioni che provava per la sua bella e possessiva Louise. La parte più intima della personalità della Bovary si ritrovava nelle centinaia di lettere che Flaubert e la sua amante si scambiavano in quel periodo. I loro incontri erano dilatati nel tempo. Nei lunghi intervalli di assenza la loro relazione si nutriva delle parole scritte in ardenti missive, molte delle quali purtroppo sono andate perdute. Mentre Flaubert passava le notti a scrivere il suo capolavoro, la scrittrice provenzale passava le sue notti tutt’altro che in solitudine. In quel periodo era de Mussett quello destinato a non far soffrire di nostalgia Louise. Lo stesso Flaubert la voleva tra le braccia di Alfred. Gustave si rifiutava di chiamare amore il suo sentimento per Louise. Per lo scrittore di Madame Bovary quel rapporto era un esperimento letterario, anche se il suo pensiero era continuamente rivolto a lei.

Durante le lunghe e grigie giornate parigine Louise scriveva incessantemente. Un effluvio di parole scivolava sul foglio che le stava davanti. Louise era una scrittrice infaticabile. Non aveva mai sofferto la sindrome del foglio bianco. Mandava i suoi manoscritti a Gustave perché li leggesse. Ma Flaubert era sprezzante nei confronti di questa continua produzione. Rimandava indietro i suoi quaderni con delle feroci critiche. “Parole fuoriuscite da un vaso troppo pieno”, era questo uno dei suoi giudizi, in riferimento alla fecondità letteraria della scrittrice.

Flaubert si sentiva prigioniero di questa donna che veleggiava verso la mezza età ma che aveva catturato la sua giovinezza. La relazione tra i due finì quando Flaubert terminò la sua Madame Bovary. Era troppo stretto il connubio tra Louise e la scandalosa protagonista del suo romanzo. Quando la Bovary del romanzo si suicidò, lo scrittore riuscì a rompere il legame che lo teneva legato alla Colet. Da quel momento Louise si dedicò ad Alfred de Mussett che la definì “Venere di Milo in marmo caldo”. Descrisse questi suoi due amori in due libri: “Une histoire de soldat” del 1856 e “Lui” del 1859.

IN ITALIA

Verso la fine del 1859 Louise Colet, stanca della vita parigina e in cerca di nuove avventure, rispolverò il suo antico amore per l’Italia, una terra conosciuta attraverso gli appassionati racconti che il padre le aveva fatto quando era bambina. Ella si considerava mezza italiana poiché era nata in Provenza, a poca distanza da quello che allora era il confine con l’Italia, situato tra Nizza e Cannes. Louise era spinta anche dal desiderio di conoscere i patrioti che stavano combattendo per l’unità d’Italia. Da infaticabile scrittrice qual era, aveva intenzione di scrivere un libro su quello che stava succedendo nel Bel Paese.

Il 15 ottobre giunse a Genova. Nell’antica repubblica marinara prese contatti con la numerosa colonia di patrioti esuli in quella città. Fu aiutata dal napoletano Giuseppe Ricciardi, che aveva conosciuto a Parigi, dove lo stesso si trovava per sfuggire alla polizia borbonica. Ricciardi la introdusse nell’ambiente risorgimentale genovese. Louise ebbe anche una breve ma intensa amicizia con lo scrittore Luigi Mercantini.   

Dopo un mese raggiunse Torino. Amica della poetessa Laura Beatrice Mancini, moglie del patriota napoletano Pasquale Stanislao Mancini, ebbe modo di farsi presentare Carlo Poerio durante una serata al teatro Carignano. Nella città sabauda rivide Pier Silvestro Leopardi, una sua vecchia conoscenza di Parigi.

Presto fu a Milano dove conobbe l’anziano Alessandro Manzoni, che incontrò più volte nella sua casa per intervistarlo sulla situazione italiana. Manzoni espresse tutto il suo appoggio alla causa dell’unità d’Italia e il suo sdegno nei confronti del papato. «Perché confondere gli interessi della terra con quelli del cielo», disse a proposito di Pio IX. Il papa, nei suoi atteggiamenti ambigui nei confronti del risorgimento, teneva però ferma la determinazione di conservare il suo potere terreno attraverso lo Stato Pontificio, negando ai romani il diritto a sottrarsi alla sua autorità per unirsi all’Italia. Manzoni donò alla Colet la raccolta delle sue opere, due libri abbastanza voluminosi che galantemente sorresse accompagnandola alla porta.

Il 18 febbraio del 1860 Colet ebbe modo di incontrare nella città meneghina il Conte Camillo Benso di Cavour. Parlando dell’unità d’Italia Cavour espresse il suo rincrescimento per la totale assenza della nobiltà romana nelle vicende risorgimentali, al contrario di altre realtà, come Napoli, Milano e Venezia dove tanti nobili avevano avuto parte attiva nel Risorgimento. Con Cavour ci fu anche una breve relazione. L’amicizia si ruppe quando Louise Colet si impegnò nella fondazione del giornale patriottico “L’annessione”. Cavour, sollecitato dalla scrittrice a investire nell’edizione del giornale, fece orecchie da mercante. Non volle mettere nemmeno un soldo nell’iniziativa della francese.

Louise si rivolse allora alla sua cordiale nemica, la principessa milanese Cristina Trivulzio di Belgiojoso, sua antica conoscenza di Parigi. L’antipatia tra le due donne era sorta nella comune frequentazione degli ambienti letterari parigini. Anche Cristina aveva avuto un suo salotto a Parigi, in Rue d’Anjou vicino al Faubourg Saint Honoré, frequentato dall’ambiente artistico della capitale. Inoltre era stata anche intima amica di Alfred de Mussett, uno degli amanti più cari a Louise. Cristina Trivulzio era molto sofferente a causa delle gravi ferite di cui era stata vittima quando era esule in Turchia. Un bergamasco, dipendente della sua colonia agricola in Cappadocia, era stato rimproverato dalla Belgiojoso perché malmenava la sua compagna. Questo perse il lume della ragione e colpì ripetutamente la principessa con un coltello. Nonostante l’inimicizia con la Colet, la principessa Belgiojoso partecipò con una cospicua somma alla fondazione del giornale, ma impedì alla scrittrice francese di far parte della redazione.

Dopo un fugace ritorno a Torino dove ebbe modo di fare una prima conoscenza con Giuseppe Garibaldi durante una seduta del parlamento sabaudo, si recò a Firenze. Nella città toscana incontrò Bettino Ricasoli e Gino Capponi. Nell’intervista che la scrittrice e giornalista fece a Ricasoli questi espresse tutta la sua avver­sione nei confronti del papa: «Potrà conservare a Roma un palazzo e una chiesa, che egli farebbe meglio ad andare a cercare a Gerusalemme. L’unità d’Italia è decretata da Dio stesso». Espresse anche tutto il suo disappunto nei confronti di Napoleone III che fingeva di aiutare l’Italia per poi poterla umiliare in seguito. Mentre espresse lodi per l’Inghilterra che, pure senza un intervento diretto, appoggiava moralmente l’attività risorgimentale e l’unità d’Italia.

Mentre era ospite di Maria Alessandrina Bonaparte, figlia di Luciano Bonaparte, nella sua villa di Laviano, una frazione di Castiglione del Lago, apprese le vicende relative alla spedizione dei Mille e alla trionfale marcia di Garibaldi verso Napoli. Nacque in lei, memore dei racconti del padre, il vivo desiderio di raggiungere la città partenopea.     

Louise Colet giunse a Napoli nei primi giorni di settembre. Il 7 di quel mese era entrato trionfalmente a Napoli Giuseppe Garibaldi. Il giorno precedente il re Francesco II e la Regina Maria Sofia erano partiti con la nave della marina borbonica “Messaggero” trasferendosi nella fortezza di Gaeta. Giuseppe Garibaldi aveva preso alloggio a Palazzo Doria d’Angri, a Largo Spirito Santo, di proprietà del ramo napoletano dell’antica famiglia genovese Doria. In quella dimora il generale aveva anche stabilito il suo quartier generale.

Il 14 settembre Louise, accompagnata da una lettera di presentazione di Cavour, si recò a Palazzo d’Angri. Approfittando della confusione generale che regnava nel quartier generale, riuscì a raggiungere la stanza di Garibaldi. Il generale in quel momento era a colloquio con Agostino Bertani, un medico che fungeva da segretario generale della Spedizione dei Mille, presente il suo fido luogotenente Luigi Gusmaroli, un ex prete che si era votato alla causa garibaldina. Nonostante i suoi 50 anni Louise, con la sua prorompente bellezza, lasciò senza fiato i presenti. Era una conterranea di Garibaldi, lei provenzale, lui nizzardo. Gli sguardi tra i due bastarono a stabilire un’intesa. Presto furono lasciati soli dal Bertani e dal Gusmaroli. Louise, che amava l’Italia, non mancò di amare chi la stava costruendo.

Il giorno seguente la Colet seguì il generale sul campo di battaglia, tra Capua e Caserta. Il generale affidò la giornalista a Jessie White Mario, la Giovanna d’Arco della causa italiana, come l’aveva apostrofata Mazzini. Insieme visitarono l’ospedale di Caserta, dove erano ricoverati i garibaldini feriti nella battaglia che in quei giorni si stava combattendo tra Capua e il Volturno contro l’esercito regio, nell’ultimo disperato tentativo di resistenza dei Borbone. In quell’ospedale l’inglese Jessie faceva l’infermiera, cercava di alleviare le ferite dei giovani patrioti in camicia rossa.

Colet conobbe e strinse amicizia anche con i due più valenti ufficiali garibaldini: Nino Bixio e l’affascinante ungherese Stefano Türr. Inoltre fu tampinata durante tutto il suo soggiorno in città da Liborio Romano. Romano era stato nominato da Garibaldi ministro dell’Interno. Era stato, durante l’ultimo periodo del governo borbonico, ministro della polizia. In questa veste aveva consigliato insistentemente al re di lasciare Napoli prima del sopraggiungere di Garibaldi. Egli aveva preso segretamente contatti con Cavour e Garibaldi offrendosi di preparare una buona accoglienza per il generale. Il favore del popolo napoletano nei confronti dell’impresa garibaldina non era scontato. Specialmente gli strati più umili della popolazione erano affezionati alla monarchia dei Borbone. Liborio Romano, per mantenere l’ordine in città, si affidò alla camorra e al suo capo riconosciuto, Salvatore De Crescenzo, detto “Tore ‘e Crescienzo”. Il ministro era attratto dalla bellezza della giornalista francese. Si offriva di accompagnarla. Le rilasciava interviste sulle vicende napoletane. Insomma era sempre presente accanto a Louise. La Colet però non gradiva troppo le sue attenzioni. Le viveva con un certo fastidio. Un giorno, per mettere una giusta distanza tra lei e il ministro, lo licenziò molto bruscamente.

Il 7 novembre incontrò Garibaldi che era di ritorno dall’ultimo incontro che ebbe a Napoli con Vittorio Emanuele. In pratica il re aveva estromesso il generale, non concedendogli la nomina a luogotenente. Garibaldi aveva deciso di partire per tornare nella sua amata Caprera. L’incontro fu commovente. I pochi giorni che i due avevano trascorso a Napoli erano stati intensi, come erano stati intensi i loro incontri. Il 9 novembre Garibaldi lasciò Napoli a bordo della nave “Washington”. Lo accompagnavano il figlio Menotti e alcuni garibaldini tra cui il fido Gusmaroli.

La giornalista raccontò in un suo articolo la vicenda dei due fratelli Savio. Torinesi, militavano nelle truppe sabaude. Aveva stretto amicizia con Emilio Savio, che aveva incontrato in quei giorni di esaltazione e confusione a Napoli. Rivedendolo alcuni giorni dopo al comando dei suoi uomini a Capua, Emilio le confessò la sua tristezza per la perdita del fratello che era stato ucciso nell’assedio di Ancona. Dopo poche settimane Louise venne a sapere che anche Emilio Savio era morto in battaglia. Colpita personalmente per la perdita di quel giovane che aveva amato, scrisse delle commoventi parole che inviò al suo amico Alessandro Dumas. L’articolo venne pubblicato sul giornale “Indipendente”. Il giorno seguente tutti a Napoli avevano letto quell’articolo. Fu raggiunta dai compagni d’armi del Savio. Lacrime di commozione bagnarono gli occhi di quei duri soldati.    

Nel febbraio del 1861 Louise Colet lasciò Napoli e raggiunse Roma, dove prese alloggio presso l’Hotel d’Inghilterra. A Roma volle incontrare il potente cardinale Antonelli, poiché intendeva essere ricevuta da papa Pio IX. L’incontro avvenne nello studio del cardinale all’interno del Vaticano. La Colet si presentò come un’amica dell’Italia ed espresse il suo desiderio di un unico stato. Cortesissimo il cardinale si disse compiaciuto dei sentimenti che la scrittrice francese coltivava nei confronti dell’Italia ma, disse, l’amore per questa patria poteva ben convivere con l’esistenza dello Stato Pontificio. Per quanto riguardava il suo desiderio di incontrare il papa, il cardinale si riservò di informarla al più presto. La Colet in seguito non ebbe più contatti con il cardinale Antonelli, né ricevette l’invito per l’auspicato incontro con Pio IX.

Durante il soggiorno romano la giornalista scrisse un libro, “Les derniers abbés, mœurs religieuses de l’Italie”. Il manoscritto fu sequestrato dalla polizia pontificia per il suo contenuto anticlericale. La Colet si lamentò di questo in una lettera indirizzata a Garibaldi. Nella risposta il generale, nel rammaricarsi della disavventura accorsa alla sua amica, scrisse dei preti: «Gladiatori della menzogna, vera peste del nostro paese disgraziato».

Partì da Roma l’8 maggio, lasciando un’Italia splendente di sole e bel tempo. Quando arrivò a destinazione trovò una Parigi plumbea di pioggia. La cosa accentuò la sua malinconia e il dispiacere di aver lasciato nella penisola tanti amici sinceri. Nei tre anni successivi si dedicò a riordinare gli appunti che aveva raccolto durante il suo viaggio. Nel 1861 pubblicò “Naples sous Garibaldi” e nel 1864 “L’Italie des italiens”. Nelle due opere descrisse, con taglio giornalistico, le pulsioni patriottiche che aveva avuto modo di verificare nelle numerose interviste fatte durante i soggiorni nelle località della penisola.

Negli anni successivi ebbe continui contatti con gli amici italiani. Tornò varie volte nel Bel Paese che lei tanto amava, fermandosi nelle città che già conosceva, oltre che nell’isola d’Ischia e a Capri. Nel 1869 volle fare un viaggio in Egitto in occasione dell’inaugurazione del Canale di Suez. Tornò da quest’ultimo viaggio in cattive condizioni di salute a causa di una rara forma di tisi di cui soffriva.

Negli ultimi anni di vita, nonostante la malattia, si recò a Caprera per incontrare l’amico e amante del suo soggiorno napoletano. Giuseppe Garibaldi la ospitò nella sua rustica dimora prendendosi cura di lei. L’inverno del 1875 lo trascorse a Sanremo insieme al suo ultimo amico, il filosofo Edgar Quinet, che le fece compagnia fino all’ultimo. L’8 marzo del 1876 moriva nella sua casa di Parigi. Nonostante avesse chiesto funerali civili, sua figlia Henriette Bissieu-Colet, che poi fu compagna dello scrittore Auguste Vacquerie, e i suoi familiari consentirono al rito religioso. La salma della scrittrice venne sotterrata nel cimitero di Verneuil, vicino Parigi.