IL PRINCIPATO DELL’ISOLA D’ELBA
Napoleone, dal rifugio di Fontainebleau, si dichiara disposto ad abdicare in favore del figlio Napoleone Francesco Giuseppe, con il governo affidato alla reggenza di sua moglie, nonché madre del bambino, Maria Luisa d’Asburgo-Lorena, fino alla maggiore età del piccolo erede. Le potenze vincitrici sono irremovibili, pretendono e ottengono l’abdicazione senza condizioni da parte dell’imperatore francese.
In compenso Napoleone viene nominato sovrano del Principato dell’isola d’Elba, creato appositamente scorporando l’isola dal Granducato di Toscana. Gli vengono inoltre assegnati due milioni di franchi di rendita annua. Alla moglie Maria Luisa è concesso il Ducato di Parma, Piacenza e Guastalla. Il piccolo Napoleone Francesco Giuseppe, di soli tre anni, è destinato a essere cresciuto ed educato in seno alla corte austriaca.
In un primo momento si era pensato di dare al Bonaparte la Corsica, trovando però la ferma opposizione delle autorità di Parigi. In alternativa si era optato per la Sardegna, suscitando in questo caso l’opposizione dei Savoia. Concedendo l’Elba a Napoleone si consegna allo stesso anche un piccolo pezzo del Regno di Napoli, poiché la località isolana di Portolongone (oggi Porto Azzurro e Capoliveri), facendo parte dell’antico Stato dei Presidi, era sotto la sovranità del re di Napoli.
Napoleone giunge all’Elba il 3 maggio del 1814 a bordo della nave inglese Undaunted. Il giorno seguente, dopo qualche perplessità dovuta al timore sul tipo di accoglienza degli isolani, sbarca tra l’entusiasmo della folla. Gli vengono consegnate le chiavi dell’isola ed è ospitato per le prime notti nel palazzo municipale di Portoferraio. Con l’editto del 4 maggio Napoleone prende ufficialmente possesso del Principato dell’Elba, con pieni diritti dinastici riservati alla moglie Maria Luisa e al figlio Napoleone Francesco Giuseppe.
Egli scrive subito alla moglie una missiva piena di affetto, descrivendo la casa dove è ospitato come molto modesta. Si ripromette di provvedere immediatamente per una dimora degna dove poterla accogliere, poiché attende il suo arrivo con impazienza. Nonostante le dicerie che descrivono il rapporto tra Napoleone e Maria Luisa fatto di maltrattamenti e disprezzo nei confronti della moglie, la stessa Maria Luisa in alcune lettere indirizzate al padre, pur ammettendo assenza d’amore nel rapporto con il marito, mette in rilievo la correttezza e la gentilezza di Napoleone nei suoi confronti.
La recondita intenzione del Bonaparte è di allontanarsi dall’Elba per raggiungere la Francia non appena ciò sia possibile. Comunque governa l’isola con oculatezza e spirito d’innovazione. Stabilisce la sua residenza nella Palazzina dei Mulini, nel centro di Portoferraio. La palazzina è velocemente ristrutturata. Viene creato un vasto salone, mentre il vecchio granaio della palazzina risulta trasformato in un piccolo teatro.
Iniziano lavori di miglioramento in tutta l’isola. Sono costruite le condotte delle fognature e tracciate nuove strade. È riformata l’amministrazione e la dogana. Si impone ai proprietari di attrezzare i propri immobili con adeguati servizi igienici. Napoleone non trascura di formare un piccolo esercito e una modesta marina. L’isola all’improvviso si trasforma in un unico grande cantiere, pieno di febbrile attività. Sono i giorni più belli per quella località addormentata, che fino ad allora era stata dimenticata dai suoi governanti, sia che risiedessero a Firenze che a Napoli.
I due forti dell’isola, collegati da un passaggio sotterraneo, sono occupati dal fedele generale Cambronne con truppe mamelucche e polacche poste a difesa dell’isola. I vari ministeri del governo vengono affidati al gran maresciallo Bertrand e ad Antoine Drouot. Il governatore militare è lo stesso Cambronne.
Questa storia è tratta dal volume “I BONAPARTE. Una storia quasi italiana” di Silvano Napolitano. AMAZON.IT
L’imperatore sceglie come residenza di campagna Villa San Martino, situata a cinque chilometri da Portoferraio. Anch’essa è oggetto di profonde ristrutturazioni. Il 2 agosto Napoleone viene raggiunto dalla madre Maria Letizia Ramolino accompagnata dalla sorella Paolina Borghese. Le due donne prendono alloggio vicino alla reggia isolana, ospiti in casa Voncini. Madame mère Letizia e Paolina resteranno all’Elba fino alla partenza di Napoleone per la Francia.
Maria Luisa, nonostante gli inviti e i desideri di Napoleone, che per lei ha fatto preparare e abbellire villa San Martino, non si recherà mai all’Elba. Subito dopo la resa di Fontainebleau si è rifugiata a Vienna con il figlio. Si fermerà nella capitale asburgica fin dopo la disfatta di Napoleone a Waterloo, nonostante che nel frattempo abbia avuto assegnato il Ducato di Parma, Piacenza e Guastalla. Maria Luisa si trasferirà nel ducato solo dopo il 1815. Per l’occasione cambierà il proprio nome, per italianizzarlo, in Maria Luigia. Nonostante la separazione, sostiene il marito anche dopo la sconfitta, invitando il padre Francesco II, imperatore d’Austria, ad adoperarsi perché a Napoleone venga riservato un trattamento degno di un membro di casa reale.
In compenso il 1° settembre del 1814 sbarca a Portoferraio Maria Walewska, amante di Napoleone, accompagnata dalla sorella e dal fratello, nonché da Alessandro, il figlio avuto con il Bonaparte. Dopo una prima passeggiata che è dedicata alla visita della chiesa del romitorio di Madonna del Monte dove si isolano per raccogliersi in preghiera, i due amanti passano insieme due giorni e due notti nella Palazzina dei Mulini trasformata in una piccola reggia.
Dopo due giorni Maria e i suoi familiari si imbarcano, diretti in Francia, spinti a ciò da Napoleone che non desidera che la notizia della visita della Walewska giunga alle orecchie della moglie. Ancora spera nell’arrivo di Maria Luisa all’Elba. Ma forse questa frettolosa partenza è dovuta anche alle chiacchiere su un nuovo legame di Maria Walewska con il generale Philippe Antoine d’Ornano, cugino di primo grado del Bonaparte.
Maria incontrerà solo in un’altra occasione Napoleone, prima della sua partenza definitiva per l’isola di Sant’Elena. Nel 1816 la Walewska, che nel 1812 aveva divorziato dal marito, il conte Walewsky, che a causa di imprudenti operazioni finanziarie era stato accusato di bancarotta, sposerà il suo amante Philippe Antoine d’Ornano, da cui avrà un figlio, Rodolphe Auguste d’Ornano. L’11 dicembre del 1817, debilitata dall’ultima gravidanza, Maria d’Ornano si spegnerà nella sua casa di Parigi. Sarà lo stesso cugino Philippe d’Ornano a comunicare la morte della moglie a Napoleone, ristretto a Sant’Elena, con una missiva che, comunque, non arriverà mai a destinazione.
Il figlio della Walewska e di Napoleone, Alessandro Colonna-Walewsky, diventerà un diplomatico di carriera dello stato francese. Sarà inoltre giornalista e scrittore. Nel 1850 otterrà l’incarico di ambasciatore francese presso il Regno delle due Sicilie e avrà la nomina a ministro degli esteri restando in carica dal 1855 fino al 1860. Sarà nominato principe da Napoleone III. Morirà a Strasburgo il 27 ottobre del 1868.
All’Elba, la sorella di Napoleone, Paolina, per vincere la noia della vita isolana, si dà a organizzare bellissime feste nel salone del Palazzo dei Mulini e nella villa agreste di San Martino, alle quali partecipano, oltre che gli ufficiali che hanno seguito Napoleone all’Elba con le loro famiglie, i notabili del luogo e spesso anche comuni cittadini.
Più passano i mesi, più matura il progetto di Napoleone di far ritorno a Parigi per riprendere di nuovo le sue funzioni di imperatore. Egli va progettando la fuga dall’isola, nonostante la sorveglianza che gli viene riservata dalla marina inglese, sempre presente sul mare che circonda l’Elba, e dalla presenza fisica sulla terraferma di un commissario britannico, Sir Neil Campbell.
Da tempo prepara la sua partenza. Voci che riferiscono di una decisione in itinere delle grandi potenze, auspicata fortemente da Re Luigi XVIII durante il congresso di Vienna, di trasferire l’ex imperatore alle Azzorre o all’isola di Sant’Elena, affretta la decisione di rientrare al più presto in Francia. La nave francese “Incostant”, presente in rada, viene segretamente preparata per la fuga del Bonaparte e dei suoi compagni d’arme. Sir Neil Campbell non s’accorge dei preparativi che si svolgono sotto i suoi occhi. Ha dei sospetti, ma Napoleone in persona non perde occasione per tranquillizzarlo: «Perché dovrei abbandonare quest’isola, dove mi trovo così bene?»
L’allontanamento di Sir Campbell, che per motivi personali si è dovuto recare a Firenze, è l’attesa occasione favorevole per la fuga del Bonaparte e del suo seguito. Il 26 febbraio del 1815 Napoleone lascia l’isola imbarcandosi sulla “Incostant” dopo aver salutato la madre e la sorella Paolina, tra un’ala di folla commossa che ha benissimo inteso le sue intenzioni. Lo accompagnano un piccolo esercito e i generali Antoine Drouot e Pierre Cambronne. Dopo due giorni di navigazione, sfuggendo alla flotta inglese che sorveglia le acque attorno all’isola, sbarca nei dintorni di Cannes. Da Cannes inizia la sua marcia verso Parigi, chiamata “Il volo dell’Aquila”.
I CENTO GIORNI
Il 1° marzo del 1815 Napoleone Bonaparte, accompagnato dai fidi generali che hanno condiviso la sua permanenza sull’isola d’Elba, Antoine Drouot e Pierre Cambronne, e un migliaio di soldati mamelucchi e francesi, sbarca a Cannes. La cittadina affacciata sul Mediterraneo è la prima tappa del viaggio verso Parigi. Il generale Andrea Masséna, che è il comandante delle forze del sud della Francia, saputo dello sbarco di Napoleone a Cannes, si muove con studiata prudenza e lentezza. Il suo scopo non è quello di fermare l’ex imperatore come gli ordinano da Parigi, bensì fingere d’inseguirlo, perdendo tempo e sbagliando volutamente strada, evitando così di scontrarsi con il suo ex imperatore. Il piccolo gruppo di armati va ingrossandosi a vista d’occhio per il contributo dei veterani del vecchio esercito rivoluzionario che si uniscono alle truppe di Napoleone. La piccola armata preferisce percorrere la via dei monti puntando su Grenoble. Nei pressi di questa cittadina ai piedi delle Alpi Napoleone si “incontra” con altri reparti dell’esercito francese mandati a sbarrargli la strada. L’ex imperatore tiene un discorso ai soldati schierati contro di lui. Ciò basta perché gli stessi, quasi tutti provenienti dalle file del vecchio esercito imperiale e che avevano condiviso tante battaglie con il loro generale, si uniscano in massa alle truppe napoleoniche. Il 14 marzo le truppe francesi, comandate del maresciallo Michel Ney, inviate per fermare Napoleone dal re Luigi XVIII, fratello del ghigliottinato Luigi XVI, si aggregano anch’esse alle forze bonapartiste. Sono tanti gli uomini che disertano in favore dell’imperatore che a Place Vendome appare una scritta a lettere cubitali che recita: “Messaggio da Napoleone a Luigi XVIII: non mandarmi più truppe, ne ho già a sufficienza”. Luigi XVIII di Borbone ha sottovalutato lo sbarco dell’ex imperatore in Francia, ritenendo erroneamente che sarebbe bastato far intervenire l’esercito per fermarlo. Rimane di questo avviso fin quando il Bonaparte non si presenta alle porte di Parigi il 19 marzo. Solo a questo punto il re realizza di trovarsi in grande pericolo e fugge di gran carriera, insieme alla famiglia reale e ai dignitari di corte, verso i Paesi Bassi, fermandosi a Gand. Il 20 marzo del 1815 Napoleone Bonaparte entra trionfalmente a Parigi accolto da tutta la popolazione. Viene insediato un nuovo governo con ministri che rappresentano la sinistra rivoluzionaria. Capo della polizia è nominato Fouché. Benjamin Constant riceve l’incarico di redigere una nuova costituzione che, nelle intenzioni dell’imperatore, deve sostituire “l’Atto addizionale alle Costituzioni dell’Impero” emanato da Luigi XVIII. Vengono delineati due profili costituzionali, uno che si richiama ai principi della rivoluzione del 1889, un secondo che detta linee più autoritarie. La scelta cade su questo secondo profilo dove viene prevista una Camera dei pari con membri scelti da Napoleone e una Camera dei rappresentanti votati dal popolo, ossia dai maschi di età superiore ai 25 anni. La nuova costituzione viene approvata con un referendum nel quale i voti a favore sono la quasi totalità.
Nel frattempo le potenze protagoniste al Congresso di Vienna si riuniscono in un’alleanza, denominata settima coalizione, per far fronte comune contro il nemico di sempre, quel Napoleone Bonaparte la cui fama sembra immortale nonostante la sconfitta subita a Lipsia nel 1813. Regno Unito, Austria, Prussia e Russia schierano un milione di soldati. La Francia può disporre di circa 300.000 uomini, messi insieme con una mobilitazione generale alla quale rispondono anche 75.000 veterani delle guerre napoleoniche. Per raggiungere questo numero di soldati è necessario anche far conto sulla odiata coscrizione obbligatoria. Inoltre sono mobilitati uomini della polizia e della guardia nazionale.
Data la superiorità numerica delle forze dell’alleanza, i capi della stessa programmano di attaccare la Francia su vari fronti. Una colonna formata da inglesi e prussiani affronterà il nemico in Belgio, gli austriaci si posizioneranno in corrispondenza dell’alto Reno e, infine, ancora gli austriaci insieme agli italiani, attraversando le Alpi, dovranno dirigersi verso Lione. A causa della distanza l’esercito russo e quello austriaco si troveranno pronti sulle linee solo dopo luglio. Napoleone non attende di essere attaccato ma decide di affrontare gli inglesi e i prussiani pur essendo in inferiorità numerica, contando molto sulla sorpresa. Una vittoria sul fronte nord gli darebbe un enorme vantaggio nei confronti di russi e austriaci, che sono in ritardo nella preparazione delle forze da mettere in campo. Un errore, che purtroppo nella successiva battaglia di Waterloo si mostra decisivo, è il rifiuto opposto da Napoleone a Gioacchino Murat, che è giunto da Napoli per affiancare il cognato, di affidargli il comando della cavalleria. Il respingimento di Murat è la conseguenza degli accordi che lo stesso aveva firmato con gli austriaci senza il consenso del cognato. Questi prevedevano il riconoscimento a Murat del regno di Napoli.
Il 16 giugno le truppe francesi, mentre marciano verso Bruxelles dove hanno intenzione di dare battaglia contro l’armata inglese del duca di Wellington, si trovano la strada sbarrata dall’esercito prussiano, comandato dal feldmaresciallo Gebhard Leberecht von Blücher, schierato sulle rive del fiume Ligne a sud della capitale belga. Blücher vuole appuntare sul suo petto la medaglia di vincitore di Napoleone. Il prussiano non considera sufficientemente che la sua posizione è molto esposta ai tiri dell’artiglieria francese, cosa che invece il duca di Wellington valuta immediatamente rifiutandosi di fornire aiuto o truppe di riserva al Blücher. Il comandante inglese propende per un’azione che eviti di affrontare i francesi in campo aperto. Il terreno paludoso dove si svolge la battaglia non impedisce ai veterani francesi di schierare l’artiglieria campale con tutta la potenza di fuoco. L’armata francese può contare su 70.000 uomini e 210 pezzi di artiglieria. Sul lato destro è schierata la cavalleria forte di 9.000 uomini, in gran parte cavalleggeri ussari che montano cavalli piccoli e forti, con garretti abituati al traino dei carriaggi, i quali non trovano difficoltà nel galoppo in terreno melmoso e paludoso. Come previsto da Wellington il combattimento è particolarmente acceso. Gli scontri sono ravvicinati, perlopiù sono assalti alla baionetta. Questi si estendono all’interno del vicino villaggio di Ligny. La Guardia Imperiale, comandata personalmente da Napoleone, interviene nel momento cruciale della battaglia volgendo le sorti della stessa a favore dei francesi. L’intervento della cavalleria contribuisce alla disfatta prussiana. I reparti comandati da Blücher si ritirano affannosamente, avendo a loro favore il sopraggiungere della notte. Il maresciallo Michel Ney, che comanda le forze situate a sinistra dello schieramento francese, ha il compito di attaccare le truppe del Regno Unito accampate nella vicina località di Quatre Bras. Lo scontro con le forze del duca di Wellington procede con esito positivo. Wellington, informato della débâcle dei prussiani di Blücher, decide di ritirarsi verso Bruxelles, che riesce a raggiungere e dove si posiziona in formazione difensiva, nonostante l’inseguimento di Napoleone. È in questo frangente che, a dispetto delle vittorie a Quatre Bas e a Ligny, matura la sconfitta francese di Waterloo. L’assenza di Gioacchino Murat, l’intrepido comandante della cavalleria che mai si sarebbe fermato fino alla completa disfatta del nemico, determina il mancato inseguimento dei prussiani, mentre si ritirano affannosamente da Ligny. Questo permetterà ai reparti superstiti di raggiungere le forze inglesi e affiancarle nella successiva battaglia di Waterloo.
La sera del 17 giugno le truppe francesi che incalzano gli inglesi sono costrette a fermarsi nella piccola piana di Waterloo a causa del buio e dell’intensa pioggia. I due eserciti, circa 140.000 soldati, quasi la metà francesi, mentre l’altra metà sono inglesi e mercenari di varie nazionalità, si trovano accampati a circa 700 metri di distanza. La colonna prussiana, formata dai superstiti degli scontri di Ligny, circa 48.000 uomini, marcia nella notte per raggiungere le forze della settima coalizione, schierate a Waterloo.
La mattina del giorno seguente, dopo una notte insonne dell’imperatore che all’una aveva cavalcato attraverso le sue linee per verificare ancora una volta la posizione dei suoi uomini, si accende lo scontro tra i due eserciti. Nonostante la superiorità dell’artiglieria francese e la determinazione dei veterani di Napoleone negli scontri corpo a corpo che si verificano sulla piccola piana di Waterloo, le forze di Wellington, educate alla battaglia e al sacrificio, riescono a resistere senza indietreggiare, a dispetto delle ingenti perdite che falciano le linee. Questa inattesa resistenza inglese permette alle forze prussiane di giungere verso sera sul campo di battaglia. L’arrivo dei rinforzi prussiani, errori di valutazione e il tardivo utilizzo della Guardia Imperiale da parte di Napoleone, determinano le sorti della battaglia e la sconfitta dei francesi, ai quali non rimane che ritirarsi verso Parigi.
Rientrato a Parigi il 21 giugno, Napoleone convoca le camere per ottenere poteri dittatoriali. La richiesta viene respinta. Napoleone comprende che la sconfitta di Waterloo segna il suo definitivo tramonto. Si rifugia nel castello di Malmaison, dove la sua sempre amata ex moglie si era spenta nel maggio dell’anno precedente, mentre gli eserciti della settima coalizione invadevano la Francia e Parigi. Il 23 giugno le camere approvano l’abdicazione firmata da Napoleone Bonaparte. Egli intende raggiungere l’America dove conta di ritirarsi a vita privata per approfondire i suoi studi sui fenomeni naturali. Poiché rifiuta di fuggire travestendosi da cittadino comune, non ha altra possibilità che trattare con gli inglesi la sua partenza verso il continente americano. Gli inglesi promettono di consentire un suo trasferimento verso gli Stati Uniti o un soggiorno in Inghilterra. Napoleone accetta e si consegna ai britannici, che in un primo momento rispettano le condizioni permettendo all’ex imperatore di vivere in una modesta abitazione nella campagna inglese. Dopo qualche mese i britannici, sempre temendo un suo rientro in Francia, decidono di traslocarlo nell’isola di Sant’Elena, un piccolo lembo di terra sperduto nel mezzo dell’Oceano Atlantico.
(Foto in alto: Palazzina del Mulino Portoferrajo, Andrea D’Errico, 2011, CC BY 3.0)