Raimondo di Sangro principe di Sansevero

RAIMONDO DI SANGRO PRINCIPE DI SANSEVERO

Raimondo di Sangro, Principe di Sansevero, nacque il 30 gennaio 1710 a Torremaggiore. Egli apparteneva a una delle famiglie più nobili d’Europa, era un Grande di Spagna, aveva una decina di feudi, discendeva direttamente da Carlo Magno per parte di padre.

Il padre era Antonio di Sangro Duca di Torremaggiore. La madre, Cecilia Gaetani dell’Aquila d’Aragona, morì quando Raimondo era ancora bambino. Egli le dedicò la statua detta della Pudicizia che si trova nella Cappella Sansevero.

Il padre Antonio, diventato vedovo, si innamorò di una fanciulla di San Severo ma, siccome il genitore di questa si opponeva, lo fece assassinare. Perseguito dalla giustizia, anche per le denunce a suo carico presentate del sindaco di quella cittadina, si rifugiò presso la corte di Vienna.

Dopo molti anni riuscì a farsi scagionare dal delitto e rientrò a San Severo dove, per vendicarsi, fece uccidere il sindaco suo accusatore. Dopo questo secondo delitto la sua posizione divenne indifendibile e pertanto, per salvarsi, entrò in convento a Roma prendendo i voti. Dovette rinunciare ai suoi titoli e ai suoi beni che trasmise al giovanissimo figlio Raimondo.

Raimondo fu affidato ai nonni che lo fecero studiare presso i gesuiti di Roma. Avendo fatto buon profitto degli studi, all’età di 20 anni si trasferì a Napoli, dove la sua famiglia aveva un palazzo prospiciente la chiesa di San Domenico Maggiore, nell’omonima piazza. Era lo stesso palazzo dove nel 1590 ebbe luogo l’omicidio di due giovani, la moglie del principe Carlo Gesualdo, Maria d’Avalos e il suo amante Fabrizio Carafa, sorpresi dal principe nell’alcova matrimoniale.

Questa storia è tratta dal volume “NAPOLI AL TEMPO DI … Episodi e personaggi della storia partenopea” di Silvano Napolitano. AMAZON.IT

Nel 1730 sposò, per procura, una cugina per parte di madre che viveva nelle Fiandre, Carlotta Gaetani dell’Aquila d’Aragona, di 14 anni. A causa delle difficoltà del viaggio, la fanciulla venne a Napoli e si unì a Raimondo solo nel 1736. Dal matrimonio con Carlotta nacquero cinque figli.

Di spirito poliedrico, poliglotta, nella sua vita fece tantissime cose. Fu colonnello del reggimento Capitanata partecipando alla battaglia di Velletri. Si iscrisse all’accademia della Crusca dopo essere stato per breve tempo membro dell’accademia dei Rosa-Croce.

Nei sotterranei del suo palazzo organizzò un laboratorio dove faceva i suoi esperimenti e dove inventava le più svariate cose. Inoltre impiantò, sempre nei sotterranei, una tipografia dove stampava libri di argomenti più vari.

Scrisse e stampò volumi dedicati all’arte della guerra e delle fortificazioni. Tradusse libri che si riferivano al massonico-esoterico, per i quali fu accusato dai gesuiti di miscredenza, ma lui negò che fossero usciti dalla sua stamperia. Si vantò di essere riuscito a stampare pagine a più colori con una sola passata di stampa.

Il principe aveva anche la passione del bel canto, si dice che ricercasse i bambini con le migliori voci bianche nei cori delle chiese per farli diventare cantanti castrati, alcuni diventarono famosi esibendosi nei maggiori teatri d’opera.

Il palazzo Sansevero aveva una cappella gentilizia, detta della Pietatella, che si trovava staccata dall’edificio, ma era unita a questo da un passetto sopraelevato. Nel 1744 il principe iniziò la ristrutturazione della cappella. Diede incarico ai migliori scultori dell’epoca di creare diverse statue, realizzate con straordinaria perizia secondo le sue istruzioni, che furono sistemate all’interno della stessa cappella.

Il principe si iscrisse anche alla massoneria che nel 1750 fondò una loggia a Napoli. In poco tempo egli ne divenne il Gran Maestro. Con il suo prestigio e la curiosità che la massoneria suscitava nei nobili, la loggia arrivò a contare più di mille iscritti. Tutto questo mise in allarme il Santo Uffizio che si accinse a rendere fuorilegge quella società segreta.

Raimondo di Sangro, intuendo quello che stava per accadere, andò da re Carlo III, suo protettore, confessando la sua appartenenza alla loggia e fornendo l’elenco degli iscritti alla stessa. Quando il Santo Uffizio emanò la Bolla di condanna della massoneria, nessun provvedimento fu preso nei suoi confronti. Per gli altri iscritti il re si limitò a un ammonimento, non potendo punire tutto il ceto nobile di Napoli. Questo tradimento lo rese inviso alla massoneria di tutto il mondo.

Per il resto della vita si dedicò ai suoi esperimenti. In un libretto descrisse minuziosamente le sue invenzioni. Oltre alle macchine anatomiche, al marmo alchemico e alla stampa a più colori, inventò il “palco pieghevole” che tramite meccanismi si chiudeva a libro, un fucile a retrocarica, un cannone in ferro, una carrozza marittima in grado di navigare, le scritte in rilievo sulla pietra anticipando il procedimento litografico di qualche secolo, e altri numerosi marchingegni.

Dovendo trasferirsi sul trono di Spagna, Carlo III nominò re, in sua sostituzione, il figlio Ferdinando IV. Il primo ministro Tanucci, che avversava il di Sangro per le sue attività e le sue idee, venuta meno la protezione di Carlo III, lo fece arrestare. Fu liberato poco dopo per l’intercessione della moglie e di altri nobili napoletani.

Per ripianare i suoi molti debiti fece sposare il suo primogenito Vincenzo con la ricchissima principessa Gaetana Mirelli. Per la festa nuziale intervenne un drappello di suoi feudatari in abiti militari. Per questo motivo Tanucci accusò il principe di invasione armata e lo arrestò di nuovo. Data l’inconsistenza dell’accusa fu liberato poco dopo.

Il principe continuò nei suoi studi fino alla morte che sopravvenne il 22 marzo 1771 per avvelenamento, forse per una involontaria inalazione di gas malefici durante un suo esperimento. Fu sepolto nella cappella della Pietatella. I suoi familiari, per evitare che i suoi studi finissero nelle mani delle autorità, bruciarono tutti i documenti del principe, inoltre fecero abbattere il passetto sopraelevato tra il palazzo e la cappella, all’interno del quale era stato costruito un altare massonico. I resti del principe, per motivi che non conosciamo, non sono più presenti nel sarcofago.

Anni dopo Giuseppe Balsamo, conosciuto col nome di Cagliostro, fu interrogato dalla Santa Inquisizione sulle sue attività di mago e alchimista, per le quali fu poi condannato all’ergastolo e imprigionato nella torre di S. Leo. Cagliostro confessò all’inquisitore che quello che sapeva di alchimia gli era stato insegnato dal suo maestro, un principe di Napoli, il cui nome non fu mai reso pubblico dalle autorità vaticane. È facile intuire che si trattasse proprio del principe di Sansevero.

Oggi la cappella gentilizia del palazzo Sansevero, che si trova a pochi passi da piazza S. Domenico Maggiore di Napoli, ospita un museo in cui sono esposte tutte le opere raccolte da Raimondo di Sangro. Tra le tante statue spicca quella sistemata al centro della navata, opera dello scultore Giuseppe Sammartino, che rappresenta un Cristo velato. Al corpo in marmo di Cristo disteso, risulta sovrapposto un velo che lascia trasparire in modo straordinario tutte le sue fattezze, ma anche il velo è di marmo.

Alla sinistra dell’altare si trova la statua che rappresenta la Pudicizia (di Antonio Corradini), con la quale sono riprodotte le fattezze della madre del principe, ricoperte parzialmente da un velo che, come quello del Cristo, è fatto con il marmo, da cui però si intravvedono le forme nude del corpo.

A destra dell’altare è rappresentato il padre Antonio, nella rappresentazione del Disinganno (scultore Francesco Queirolo) che cerca di liberarsi da una rete di corda che lo avvolge completamente. La rete è di marmo. Si ipotizza che Raimondo di Sangro avesse inventato uno stucco che, spalmato, marmorizzasse i tessuti. In un vano a destra della navata, dove si accede tramite una scala, sono conservate le macchine anatomiche. Si tratta di due scheletri, di un uomo e di una donna incinta, con il feto del bambino ben visibile, sui quali è intatto il sistema vascolare, comprendente anche i vasi capillari. Sembra che i due fossero due servi del principe a cui sarebbe stata iniettata in vita una sostanza, per metallizzare le arterie e le vene, provocando la loro morte.